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Questo articolo è stato pubblicato il 17 marzo 2011 alle ore 09:00.
L'ultima modifica è del 17 marzo 2011 alle ore 09:19.

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Obama di Libia non piace ai liberalObama di Libia non piace ai liberal

Barack Obama ha un problema serio. Alcuni intellettuali di sinistra e le pagine degli editoriali dei grandi giornali liberal hanno cominciato a spazientirsi per il suo atteggiamento attendista sulla Libia. Le critiche all'inazione americana sono diventate sempre più rumorose. Sono iniziate sui blog, hanno raggiunto storiche riviste come New Republic e sono approdate sulle prestigiose colonne del Washington Post e del New York Times. Obama è accusato di non aver ancora organizzato per il popolo libico un'Operazione Tomodachi, «amicizia» in giapponese, come quella che in queste ore i militari americani conducono per le vittime dello tsunami.


Due mesi e mezzo fa Obama è partito cauto, come sempre, diffidente all'idea di mischiarsi negli affari interni di altri paesi. Le proteste del mondo arabo lo hanno colto di sorpresa, così come le piazze di Teheran nell'estate del 2009. Non erano soltanti analisi di intelligence sbagliate, ma una precisa strategia di Realpolitik contraria al regime change professato dal suo predecessore.

Gli uomini di Obama si sono divisi tra l'ala di scuola realista, quella progressista e quella interventista. L'effetto domino delle piazze arabe, alla fine, ha convinto il presidente a schierarsi con i rivoltosi tunisini, egiziani e poi libici: «Gheddafi se ne deve andare». Se non la strategia, è cambiata perlomeno la retorica mediorientale. Sono tornati gli appelli alla democrazia e alla libertà, ma non sono stati individuati gli strumenti per aiutare i ribelli libici. La Casa Bianca ha riavviato le sanzioni economiche sul clan Gheddafi, interrotte dopo il mea culpa del Colonnello del 2003, ma non ha preso alcuna decisione a favore dei rivoltosi né a difesa della popolazione civile.

«Nell'incontro di questa sera – si legge nel comunicato diffuso martedì notte dalla Casa Bianca – il Presidente e il suo team di sicurezza nazionale hanno esaminato la situazione in Libia e le opzioni per aumentare le pressioni su Gheddafi. In particolare – continua il comunicato – la conversazione si è concentrata sull'Onu, sulle potenziali azioni del Consiglio di sicurezza e sulle continue consultazioni con gli alleati arabi ed europei. Il presidente ha detto al suo team di continuare a partecipare pienamente alle discussioni con l'Onu, la Nato e con i partner e le organizzazioni regionali». Decisioni: zero.

Ieri il Washington Post ha titolato il principale editoriale non firmato, quello che registra la linea ufficiale del giornale, con un secco: «Wanted: A strategy». A mancare, secondo il giornale della capitale, è una strategia che faccia seguire i fatti alle parole.

Obama si limita a non escludere nessuna opzione, ma non ha ancora dato indicazioni chiare sulla no-fly zone né sulla fornitura di armi ai ribelli. Il suo staff si è spaccato ben oltre le differenze fisiologiche tra Casa Bianca, Dipartimento di Stato, Pentagono e Cia, a dimostrazione della mancanza di una linea precisa. Aspettare una decisione delle Nazioni Unite non è considerata una politica estera del paese leader del mondo, specie se i gruppi anti-Gheddafi chiedono aiuto e invocano l'intervento armato.

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