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Questo articolo è stato pubblicato il 21 marzo 2011 alle ore 06:45.
L'ultima modifica è del 21 marzo 2011 alle ore 08:57.

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d) Welfare locale: coinvolgere Comuni e Terzo Settore, in maniera coordinata ed efficiente.

Terzo. Ampliare i contenuti della sperimentazione prevista dal milleproroghe in modo da coinvolgere città di ogni dimensione e, nel contempo, testare tutti i modelli organizzativi compatibili con i suddetti punti fermi. Ugo Trivellato, in www.acli.it, propone una rigorosa metodologia di valutazione allo scopo di individuare i modelli organizzativi più efficaci nei vari contesti territoriali e per i diversi target di utenza. La sperimentazione fornirà così indicazioni preziose alla progettazione della nuova misura universalistica contro la povertà. Essa risulterà, invece, inutile se, trascorso l'anno previsto, l'esperienza compiuta non sarà valorizzata al fine di realizzare interventi appropriati.

Il percorso suggerito costerebbe 787 milioni di euro aggiuntivi per ognuno dei tre anni, richiedendo a regime - dal 2013 - 2.3 miliardi (stime Acli). Tuttavia, poiché come detto, il governo dispone già di 487 milioni residui sulla Social Card, nel primo anno ne servono solo 300. Vale a dire che con 300 milioni, una cifra residuale per il bilancio dello Stato, si può avviare un percorso destinato a modificare strutturalmente il welfare italiano. L'investimento iniziale richiesto per qualsiasi altra tra le numerose riforme necessarie al nostro welfare (disoccupazione, famiglie, non autosufficienti) è assai superiore.

Le proposte delle Acli hanno raccolto un certo interesse e il ministro del Welfare, Sacconi, ha dichiarato la sua attenzione. Ora ci vuole un accordo tra le principali forze politiche, di maggioranza e opposizione, per realizzare un percorso triennale capace di dare all'Italia una misura nazionale contro la povertà. Si tratta dell'unica strada praticabile dato che nessun partito fa della lotta a questo problema un proprio obiettivo, semplicemente - a mio avviso - perché non ne ricaverebbe benefici di consenso. Nell'Italia di oggi, i poveri non sono organizzati in gruppi di pressione capaci di far sentire la propria voce attraverso i media e di premiare elettoralmente chi prenda decisioni a loro favore. Quindi, visto che sostenere gli ultimi non "conviene" ad alcun partito, la sola possibilità è un'ampia intesa per condividere l'onere di una simile decisione.

Ma nessuna scelta risulterebbe adesso così utile alle persone in carne e ossa e, allo stesso tempo, così simbolica di un interesse verso il bene comune (interesse concreto, non tema da convegno) come l'introduzione di una misura nazionale contro la povertà. Pertanto, mentre i singoli partiti non ne trarrebbero benefici, la politica italiana guadagnerebbe, nel suo insieme, credibilità. Risultato non da poco, di questi tempi. Gli onorevoli Berlusconi, Bersani, Bossi, Vendola e Casini sono disposti a spendersi per un simile accordo?

cristiano_gori@lse.ac.uk

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