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Questo articolo è stato pubblicato il 03 aprile 2011 alle ore 14:50.
L'ultima modifica è del 03 aprile 2011 alle ore 15:17.

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La Casa dello studente a L'Aquila oggi 2 aprile 2011 con le foto degli otto studenti morti nel crollo . - AnsaLa Casa dello studente a L'Aquila oggi 2 aprile 2011 con le foto degli otto studenti morti nel crollo . - Ansa

«Ascoltami, Anto'. Se tu fai mettere due euro per visitare il santuario, fanno 40mila d'incasso all'anno. Solo dal Canada, ne arrivano mille. Quelli sono molto devoti», spiega al suo commensale il prete mentre beve un bicchiere di vino rosso. All'altro tavolo, un quarantenne sbrana il piatto di maccheroni alla pecorara e dice a due commensali che annuiscono in silenzio: «Qui non c'è niente da fare. L'ultima fattura ho impiegato sei mesi a incassarla».

All'Aquila, a due anni dal terremoto, è così. Tutti parlano di soldi. Soldi che dovrebbero esserci, che chissà forse ci sono, che mannaggia non ci sono. Il 6 aprile del 2009 il sisma ha distrutto la città. Da allora L'Aquila è sotto una cappa di vetro e di polvere. Immobile. Ferma. Un'immagine antitetica rispetto all'attivismo febbrile dei mesi successivi alla tragedia, quando l'adrenalina della prima ricostruzione evitò agli aquilani di affrontare le rigidità dell'inverno nelle tendopoli.

La crisi economica internazionale non ha aiutato la città a risollevarsi. Ma ci sono cose che c'entrano poco con i mercati internazionali. I fondi erogati per ricostruire L'Aquila, per esempio. «Rappresentano una specie di giallo contabile», dice Luca Bianchi, vicedirettore dello Svimez, che su richiesta del Sole 24 Ore si è esercitato in un calcolo che oggi definisce impossibile. «L'unico elemento sicuro - continua Bianchi - sono gli 1,2 miliardi stanziati sull'emergenza dal Governo, a cui vanno aggiunti i 494 milioni messi a disposizione dall'Unione Europea».

Ci sarebbe poi un'altra cifra compresa fra i 2 e i 4 miliardi in carico al Fas, il fondo che contiene le risorse per il Sud. «Sono miliardi teorici - rileva Bianchi - di cui non si riesce ad appurare il reale utilizzo. Colpisce l'assenza di una cabina di regia in grado di monitorare quante risorse siano davvero finite all'Aquila per la ricostruzione».

Invece, le famiglie dei bambini dell'asilo di suor Daniela sanno bene quanti soldi mancano a casa. «Fino a febbraio abbiamo fatto pagare 90 euro sia per la retta che per la mensa, adesso da marzo siamo tornati a 160, perché i nostri conti non reggevano. Chi non può permetterselo, però, non paga», dice suor Daniela, doppia laurea in teologia e in economia, membro del direttivo di Confindustria L'Aquila.

Suor Daniela, che è responsabile del personale dell'Istituto missionario della dottrina cristiana («Siamo nate nel 1890 qui in città, il terremoto ha distrutto tutto, ma non ce ne siamo andate»), educa nella scuola costruita dalla Protezione civile i bambini degli aquilani e ascolta le preoccupazioni di mamme e papà: «Le tasse vecchie e nuove, più i mutui da pagare per le case che ora sono cumuli di pietre».

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