Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 07 aprile 2011 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 07 aprile 2011 alle ore 08:50.
Un'escalation senza freni che colmò il vuoto di quella che impropriamente viene ancora chiamata la mafia del Brenta, ufficialmente morta con la sentenza emessa dal Tribunale di Venezia il 22 dicembre 2008 ma già defunta con l'arresto del capo, Felice Maniero, nel '94. Un'organizzazione di gangster, sottolinea Pennisi, che con le mafie si alleò.
Vent'anni d'infiltrazioni di soldi della camorra – fatti con l'usura e il narcotraffico e reinvestiti nel mattone, nel commercio, nello smaltimento dei rifiuti, nei servizi, nel turismo e negli assetti societari di imprese decotte – sono un periodo troppo breve per la clessidra dello Stato repressivo.
L'ex capo della Procura della Repubblica di Venezia, Vittorio Borraccetti, in apertura dell'anno giudiziario 2010, rilasciò una dichiarazione amara sul fatto che purtroppo molte indagini restano senza prove. «Anni fa – dichiarò – indagammo a Cortina ma non si approdò a nulla. Solo in un albergo sul Nevegal emersero collegamenti con la banda della Magliana». L'ex procuratore generale, Ennio Fortuna, la buttò in filosofia: «La mafia va dove ci sono i soldi, ma non abbiamo elementi per sostenere che vi siano insediamenti criminali».
Non aiuta certo l'inconsapevolezza dei veneti che, di anticorpi, ancora non vogliono sentir parlare. Il 30 novembre 2010 una ricerca di Demos-Osservatorio sul Nord Est rivelò che appena il 20% dei residenti ritiene che Cosa nostra, 'ndrangheta e camorra siano, nella propria zona, più gravi della delinquenza comune. Il Gazzettino titolò: «Per gli abitanti del Nord Est qui la mafia non esiste».
Ma c'è chi pensa a suonarla comunque, la sveglia. Stefano Pellicciari, presidente dei costruttori veneti, il 26 novembre 2010 ha lanciato un accorato appello sul rischio che sempre più imprese edili, in periodo di crisi, possano chiedere aiuto alle mafie. «Se il Governo e la Regione non interverranno a breve – ha affermato Pellicciari – ci troveremo con tanti Totò Riina in giro per la nostra Regione. Ci sono già decine di segnalazioni alle autorità competenti».
«La crisi continua e adesso queste aziende che non hanno più soldi si sono dovute rivolgere alle organizzazioni mafiose», ha aggiunto il segretario del sindacato di categoria Filca-Cisl, Salvatore Federico. Quattro mesi dopo, l'11 marzo, l'Ance Veneto è andata oltre: ha fatto proprio il codice etico dei colleghi palermitani per vigilare sul rischio infiltrazioni.
Del resto, la fotografia del settore in Veneto è impietosa. In due anni sono fallite quasi 2.500 ditte, per un totale di 50mila disoccupati. Una situazione di cui è perfettamente consapevole il mondo delle imprese. Il 27 febbraio 2010 il candidato leghista alla presidenza della Regione Veneto, Luca Zaia, che poi sarà eletto, lanciò l'allarme sul rischio d'infiltrazioni criminali nelle società venete attraverso scalate ai pacchetti azionari, agevolate dalla crisi economica globale.
Lo fece anche per alzare l'attenzione sulla sua campagna elettorale, fatto sta che il presidente di Confindustria Veneto, Andrea Tomat, rispose affermando che il sistema economico è sano, ma ricordando che «le modalità attraverso le quali la criminalità potrebbe infiltrarsi nelle aziende del nostro territorio sono molteplici e tutte causate dall'eccezionale situazione in cui versa l'economia».
A un anno esatto di distanza anche il mondo delle imprese ha fatto un passo avanti. L'11 febbraio di quest'anno Confindustria Veneto e ministero dell'Interno hanno firmato un protocollo di legalità. «Si tratta di una sfida – dichiara il vicepresidente Francesco Peghin – e si cerca di progredire verso la trasparenza e la legalità».
Oltre ai Casalesi e alla new entry della 'ndrangheta, corre anche Cosa nostra, radicata qui da decenni. La famiglia Lo Piccolo – solo per citare un caso eclatante – tre anni fa provò a mettere le mani sul mercato immobiliare del litorale veneziano. Il 23 ottobre 2008 il deputato del Pd Rodolfo Viola provò a chiederne conto al ministro dell'Interno Roberto Maroni con un'interrogazione urgente in commissione parlamentare. Nonostante due solleciti – il 4 e il 24 febbraio 2009 – la risposta non è ancora giunta.
Se il Veneto piange e il Trentino Alto Adige ride («qui le cosche non potrebbero nemmeno farsi capire in italiano», prova a ironizzare Pennisi), il Friuli Venezia Giulia si trova i riflettori puntati anche grazie all'ottima metodologia di lavoro imposta dal capo della Procura di Trieste Michele Dalla Costa, cognato di Nicolò Ghedini, l'avvocato principe del premier. «Al punto che la Dda di Trieste – scriveva già lo scorso anno Pennisi nella relazione della Dna – è quella più attiva in Italia nel campo degli scambi investigativi con l'estero per le indagini sul traffico dei narcotici e dell'immigrazione clandestina. Soprattutto in quest'ultimo settore l'Ufficio è stato particolarmente attivo contro le organizzazioni che gestiscono i flussi migratori, al punto che sono state neutralizzate oltre 90 organizzazioni criminali transnazionali, tra cui quella cinese particolarmente agguerrita».
Casalesi, calabresi, cinesi... le vie della criminalità nel Nord Est sono infinite.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com
Permalink
Ultimi di sezione
-
Italia
Agenzia delle Entrate sotto scacco, rischio «default fiscale»
-
L'ANALISI / EUROPA
L'Unione non deve essere solo un contenitore ma soggetto politico
Montesquieu
-
NO A GREXIT
L’Europa eviti il suicidio collettivo
-
Il ministro dell'Economia
Padoan: lavoreremo alla ripresa del dialogo, conta l’economia reale
-
LO SCENARIO
Subito un prestito ponte
-
gli economisti
Sachs: la mia soluzione per la Grecia