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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 08:14.

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Mohamed, figlio di un tunisino arrivato in Italia negli anni '70, raggiunge il padre con la madre e i fratellini nell'89. Dopo la scuola dell'obbligo, decide di lavorare e di fermarsi con il padre a Siracusa, mentre il resto della famiglia torna in Tunisia. A 18 anni ottiene un permesso di lavoro, fa il cameriere e vive con la fidanzata italiana.

Per cinque anni va tutto liscio, poi perde il lavoro e si ritrova clandestino. Dovrebbe tornare in Tunisia, in un Paese che non conosce e in cui si sente «straniero». Resta in Italia e comincia a lavorare in nero, dando anche lezioni di italiano agli arabi che vogliono impararlo. Poi arriva l'accusa di molestie e il carcere. Ne esce quattro mesi dopo, in attesa di giudizio. Intanto la Questura gli notifica il decreto di espulsione. E lui ora deve scegliere: o sprofondare nella clandestinità - sfuggendo al processo e all'espulsione, ma rischiando un altro processo per mancata ottemperanza all'ordine di espulsione e con la prospettiva del carcere - oppure attraversare il Mediterraneo in senso contrario a quanto stanno facendo i suoi connazionali e a quanto fece lui stesso 20 anni fa.


Gli stranieri detenuti sono 24.829 e 1.301 stanno "dentro" solo per non avere eseguito l'ordine di espulsione. Sono un terzo della popolazione carceraria (67.615); un altro terzo (26.277) è rappresentato dai tossicodipendenti. Gli uni e gli altri, insieme agli "psichiatrici" e agli autori di "reati di strada", costituiscono la clientela abituale delle patrie galere: entrano ed escono senza che il carcere abbia per loro alcun senso, né rieducativo né di reinserimento sociale.


Le leggi sulla droga e sugli immigrati, complice la stretta sui recidivi e sulle aggravanti varata con la ex Cirielli e con i pacchetti-sicurezza, ha aperto le porte della galera a tanti che non dovrebbero starci. Molti anche gli imputati, 28.220, di cui oltre la metà in attesa della prima sentenza. I tempi lunghi del processo hanno trasformato la custodia cautelare in una pena anticipata. Le misure alternative (destinate non a "sfollare" ma a "reinserire") sono precipitate dopo la stretta della ex Cirielli: nel 2003 in misura alternativa c'erano 48.195 detenuti, 50.228 nel 2004 e 49.943 nel 2005; oggi ce ne sono appena 16.018. A gennaio 2010 il sovraffollamento delle carceri è diventato «emergenza nazionale»; sei mesi prima la Corte di Strasburgo aveva condannato l'Italia per trattamenti inumani e degradanti...


Dall'inizio della legislatura, la politica della carcerizzazione ha portato "dentro" 10mila persone (nel 2008 i detenuti erano 58.127). La «svuota carceri», approvata nel 2010, si è rivelata un flop perché ha fatto uscire (in detenzione domiciliare) solo 1.788 detenuti. Di riforma delle misure alternative non si parla più. Si attende il miracolo del «piano carceri», che finora ha prodotto 1.265 nuovi posti, ma i detenuti sono aumentati del doppio (2.533). Il sistema gira a vuoto. E costa: 29 miliardi di euro nell'ultimo decennio. Ma la manutenzione delle carceri e l'attività di rieducazione hanno avuto il 31% in meno dei fondi. Malgrado la leggera flessione degli ingressi, il sovraffollamento resta una piaga - condizioni invivibili, record di suicidi, scioperi dei poliziotti, proteste dei carcerati - e blocca ogni tentativo di risocializzazione dei detenuti. Anzi, il carcere, così com'è, produce il 70% dei recidivi. Un fallimento per la giustizia penale. Un boomerang per la sicurezza collettiva.
(D.St.)
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