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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2011 alle ore 08:14.

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«Venga lunedì ché ci sono un po' di reperti archeologici!». Il giudice ha appena terminato l'udienza, incrocia la giornalista con il taccuino in mano e le propone un altro giro in Tribunale per assistere allo spettacolo del grottesco. In aula saranno chiamati tre processi per bancarotta.

Processi d'annata e dannati: i fallimenti risalgono al '95, '96, '97; gli imputati nel frattempo hanno commesso altri reati (truffe, ricettazioni, falsi in bilancio) intossicando il tessuto sano dell'economia; i dibattimenti sono cominciati nel 2000 ma già ri-cominciati tre, quattro volte, perché in 10 anni capita che qualche giudice del collegio se ne vada e sia sostituito da un collega, e la ferrea legge dell'oralità vuole che a decidere siano le stesse persone che hanno seguito passo dopo passo il dibattimento, ascoltando con le proprie orecchie e vedendo con i propri occhi testimoni, periti, imputati. Le registrazioni delle prove raccolte non bastano. Si deve ricominciare. A meno che la difesa acconsenta ad acquisirle e ad andare avanti. Caso abbastanza raro vista la possibilità di sfruttare anche questo "incidente" per allungare i tempi e guadagnare la prescrizione.

E allora, ecco nuovamente sfilare in aula attori e comparse, chi solo per ribadire che gli hanno rubato la macchina, chi per confermare quanto ha già testimoniato in precedenza, spesso senza che ad essi siano rivolte altre domande. In via vai senza fine se diventerà legge il «processo lungo», recente invenzione del Pdl che consente alla difesa di dilatare a dismisura le liste dei testimoni e, quindi, del dibattimento. Ma tant'è. I testi vanno citati e ri-citati, superando la trafila delle notifiche (bestia nera del processo penale) e verificando che siano andate a buon fine. Spesso non si fa in tempo ad ascoltarli tutti, e allora via con altre notifiche per l'udienza successiva, con gli autisti che, in mancanza di ufficiali giudiziari, dirigono il traffico tra chi va e chi viene...

Processioni, più che processi. Nella programmazione dei Tribunali, le bancarotte già scontano i tempi lunghi della prescrizione (20 anni dal fatto) e perciò lasciano la precedenza ad altri processi finché, zac, arrivano le «Cirielli» e le «prescrizioni brevi» e tutto salta. Ma, prescrizione a parte, che si tratti di una bancarotta o di una guida in stato di ebbrezza, di una corruzione o della vendita di cd contraffatti, una volta a dibattimento le regole non cambiano. Solo per i Totò Riina il processo corre su binari diversi, per certi aspetti più snelli. Governo e Parlamento hanno cercato di preservare i processi di mafia dalle ricadute negative di norme irrazionali e contraddittorie. E, anzi, in questa legislatura sono state varate alcune misure utili a un contrasto più efficace della criminalità organizzata, per esempio sul sequestro e la confisca dei beni dei clan, per sottrarli al circuito economico d'origine e inserirli in quello legale. Ma sull'altro binario, quello della criminalità comune, la giustizia viaggia con il solito passo. Spesso il passo del gambero
(D.St)
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