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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2011 alle ore 14:43.

L'ingresso della sede del FMI a Washington (Bloomberg)L'ingresso della sede del FMI a Washington (Bloomberg)

Un fetore di colonialismo aleggia tra la 19ª e la H, le due strade del quadrante nordoccidentale di Washington dove sorge il quartier generale del Fondo monetario internazionale. Questi effluvi sgradevoli non originano dal fatto che il ricco e potente francese di 62 anni che fino a questa settimana dirigeva l'organizzazione è accusato di aver aggredito sessualmente in uno sfarzoso hotel newyorchese una cameriera africana giovane e indigente, bensì dai forti strascichi coloniali che già stanno emergendo nella scelta del successore di Dominique Strauss-Kahn.

Questi strascichi, prodotto di un antiquato baratto stipulato nel dopoguerra fra le nazioni più ricche del mondo, comporta che il posto di direttore generale del Fmi, un'istituzione di cui fanno parte 187 Stati, sia riservato a un europeo. Questo accordo, che di fatto discrimina il 93 per cento dell'umanità, ha sempre goduto del sostegno degli Stati Uniti, il maggiore azionista del Fondo.

Il Fmi in cambio dei soldi esige costantemente, dai Governi che bussano alla sua porta per chiedere aiuti finanziari, l'adozione di principi liberisti di efficienza, trasparenza e meritocrazia. Eppure, questa stessa istituzione seleziona il proprio leader mediante un processo totalmente in contraddizione con quei valori. Secondo l'accordo tra Europa occidentale e Stati Uniti, l'incarico di maggior prestigio del Fondo va sempre a un europeo, mentre la presidenza della Banca mondiale è riservata a un americano. È sempre stato così da quando furono create queste istituzioni, a metà degli anni 40, e se l'accordo era coerente con la Realpolitik mondiale dell'epoca, oggi appare obsoleto, inaccettabile e controproducente per la stabilità economica globale.

Anche i leader del G20, il gruppo di nazioni che rappresenta l'80 per cento dell'economia mondiale e i due terzi degli abitanti del pianeta, riconoscono che il metodo di selezione del leader di queste istituzioni deve cambiare. Al termine del vertice del G20 dei primi mesi del 2009 a Londra, subito dopo lo scoppio della crisi finanziaria, i capi di Stato e di Governo dichiararono che «i direttori e gli alti dirigenti delle istituzioni finanziarie internazionali devono essere nominati attraverso un processo di selezione aperto, trasparente e fondato sul merito».

Lo scandalo è che non sia già così. E altrettanto scandalose, naturalmente, sono le innumerevoli giustificazioni che già i Paesi europei stanno propinando per spiegare perché il successore di Strauss-Kahn deve venire dal vecchio continente.

Didier Reynders, il ministro dell'Economia belga, ha dato voce all'opinione predominante in Europa quando ha detto che «sarebbe preferibile se continuassimo a ricoprire noi questi incarichi». La ministra dell'Economia francese Christine Lagarde già viene sbandierata come grande favorita dalla stampa americana e internazionale. Anche un alto funzionario brasiliano ha ammesso alla Reuters che «l'Europa probabilmente conserverà il controllo sul ruolo di direttore generale del Fondo», anche se Angela Merkel ha detto che il posto potrà andare a un candidato dei Paesi emergenti… ma fra un po' di tempo. Per il momento preferisce avere un europeo.

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