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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2011 alle ore 09:57.

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Tornare alla crescita. Tre parole, un lascito per il futuro di un Paese oggi "insabbiato" ma non condannato al declino. Mario Draghi, presidente designato della Banca centrale europea, dopo cinque anni al timone della Banca d'Italia finisce da dove aveva cominciato. Dalla crescita, appunto, il primo dei problemi di un'Italia che fatica a rialzare la testa.
L'attenzione al tema dello sviluppo, assieme a una sorta di patriottismo mite, è una costante storica del sistema valoriale della Banca centrale. Ma Draghi non si è limitato a viaggiare nel solco della tradizione. Con puntiglio analitico, nel corso del suo mandato, ha cercato di far comprendere a tutti (politici in prima battuta) quanto fosse decisiva la questione delle riforme. E quanto l'agognata crescita dell'economia non scaturisca solo da fattori economici ma, come ha detto ieri, dipenda dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione dei valori e delle speranze. Gli ingredienti, a ben vedere, che nelle stagioni più difficili della storia italiana ci hanno spinto fuori dalle secche.

Il Governatore ha citato Cavour e si è richiamato alle «Prediche inutili» di un suo predecessore, il grande liberale Luigi Einaudi. Con toni asciutti ha spiegato che poco di quanto suggerito dalla Banca d'Italia, nei cinque anni passati (tre con il Governo Berlusconi, due col Governo Prodi, ndr), si è tradotto in realtà. Appena qualche giorno fa, con Draghi seduto in prima fila assieme al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano all'assemblea di Confindustria, era stata la presidente Emma Marcegaglia ad affermare che il decennio alle nostre spalle era andato praticamente perduto sulla strada dello sviluppo.
Ripartire, dunque, ma da dove? In generale, da una lotta senza quartiere contro gli "interessi corporativi" che s'intrecciano ed opprimono il Paese, ha osservato Draghi. E poi, ecco uno dei passi fondamentali delle sue ultime "considerazioni finali", facendo leva sul bilancio pubblico come elemento di stabilità e insieme di propulsione della crescita economica.

Siamo qui allo snodo cruciale del giudizio della Banca d'Italia sull'azione del Governo. Draghi ne ha evidenziato i punti di forza ed i punti di debolezza. Tra i primi la «prudente gestione» della spesa durante l'ultima crisi, il fatto che il disavanzo pubblico è inferiore a quello medio dell'area euro, i successi sul fronte del contrasto all'evasione fiscale, l'aver fissato per il 2014 il pareggio di bilancio e l'aver deciso di anticipare a giugno la manovra correttiva per il 2013-2014.
Tra i punti di debolezza gli ormai famosi tagli lineari alla spesa, già oggetto, per il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, di tensioni all'interno della stessa compagine governativa. In questo caso la bocciatura è piena. Se vogliamo ridurre la spesa in modo «permanente e credibile», ha spiegato il Governatore, non si può procedere col taglio uniforme a tutte le voci di spesa perché così, non selezionando le scelte ed impedendo di far affluire le risorse dove sono più necessarie, si finirebbe col colpire la già debole ripresa dell'economia. Una manovra siffatta significherebbe sottrarre al crescita qualcosa come due punti di Pil in tre anni: errore grave, tanto più se si considera che l'Italia, dall'avvio della ripresa, ha recuperato fin qui solo due dei sette punti di Pil persi nella crisi.

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