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Questo articolo è stato pubblicato il 15 giugno 2011 alle ore 07:45.
L'ultima modifica è del 15 giugno 2011 alle ore 08:38.

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Tre scenari per guardare oltre Pontida (e oltre i dubbi leghisti)Tre scenari per guardare oltre Pontida (e oltre i dubbi leghisti)

A quattro giorni da Pontida, la Lega vive la crisi più grave della sua storia. Più che di una crisi, anzi, si tratta di uno psicodramma: un partito localista che ha cercato di svolgere un ruolo nazionale, riuscendovi per qualche tempo (grazie ai successi elettorali dell'asse con Berlusconi), e che all'improvviso si sente rigettato all'indietro verso le sue origini. Il che può essere rassicurante, ma alla lunga è incompatibile con una responsabilità nel governo nazionale e con i compromessi che questo comporta.

Certo, la tentazione di ritrovare l'identità perduta tornando a casa, nei comuni e nelle province del nord, potrebbe essere irresistibile per Bossi e i suoi. Che devono comunque fare i conti con una base inquieta, attraversata come mai in passato da un'irritazione profonda. Il voto nel referendum lo ha testimoniato, come ha ben descritto Roberto D'Alimonte. Di qui la grave incerezza della Lega. Ne deriva che in attesa degli eventi si possono avanzare tre ipotesi su quello che accadrà nei prossimi giorni o nelle prossime settimane.

Il primo scenario è quello più ottimistico dal punto di vista di Berlusconi e forse il più deprimente a giudizio degli oppositori: prevede che non succeda quasi nulla. Bossi a Pontida lancia qualche «ultimatum» al governo, chiede «più coraggio», ma prende atto che Tremonti ha cominciato a parlare di riforma fiscale e di moralizzazione della spesa. Vero è che il ministro dell'Economia è stato chiaro sul nodo di fondo: non si può fare la riforma «in deficit», ossia non si possono aprire altri buchi nel bilancio dello Stato. Se le risorse aumentano, attraverso tagli e lotta all'evasione, si può intervenire sulle aliquote. Altrimenti, c'è poco da fare.

Ma questa precisazione a Pontida può essere messa tra parentesi. Se Bossi ha voglia di fermarsi, valorizzandola, alla prima parte del discorso tremontiano (la riforma fiscale obiettivo prioritario), il popolo del Carroccio potrebbe accontentarsi. Almeno per il momento, diciamo fino all'autunno. Del resto la riforma richiede tempo: un lavoro che, risorse a parte, riempie lo spazio di qui al termine della legislatura. La verifica della prossima settimana non offrirebbe sorprese e Berlusconi andrebbe avanti, promettendo che nel 2013 non sarà più il candidato premier.

Secondo scenario. Il disappunto dell'universo leghista è troppo forte per essere dominato. Il vertice del partito si divide e Bossi non riesce a realizzare una sintesi. Gli istinti della base prendono il sopravvento. Entro qualche tempo viene meno l'appoggio del Carroccio all'esecutivo. Si scivola verso le elezioni anticipate (in autunno?). Elezioni peraltro che in questo momento quasi nessuno vuole. Anche nel Pd, dove ci si rende conto che l'opposizione non è ancora pronta per presentare agli italiani un'alternativa credibile di governo.

Terzo scenario. La Lega chiede a Berlusconi il fatidico passo indietro. In altri termini, impone la novità più clamorosa. Non per correre alle urne, ma per aprire la strada a un governo di transizione. Un esecutivo cosiddetto di «responsabilità nazionale», aperto alle forze dell'opposizione e guidato da un personaggio in grado di affrontare l'emergenza economica avendo alle spalle un Parlamento unito, almeno per un paio d'anni. Tremonti sarebbe un candidato a guidare la svolta, ma non il solo. Nell'agenda ci sarebbe, ai primi posti, anche la riforma elettorale in senso proporzionale. Al momento è la prospettiva più improbabile.

I malumori leghisti dopo «la sberla»

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