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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2011 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 22 giugno 2011 alle ore 08:52.

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Quattro strade per lasciare KabulQuattro strade per lasciare Kabul

Questo vale soprattutto laddove le trattative siano accompagnate dai ritiri. Quanto più rapido sarà il ritiro immediato, tanto più difficile si rivelerà il processo di negoziazione. Dobbiamo scegliere le priorità.

Un meccanismo di attuazione può essere costituito dalla permanenza di truppe americane residue, qualche garanzia o presenza internazionale oppure, la soluzione migliore, una combinazione dei due elementi. Un ritiro totale sarebbe definitivo, senza alcuna illusione di nuovi interventi.

L'esito del conflitto in Afghanistan è un problema politico internazionale, per quanto il ruolo predominante degli Usa possa offuscare questa verità. La percezione che la maggiore potenza mondiale sia stata sconfitta darebbe impulso allo jihadismo regionale e globale. L'Islam militante sarebbe incoraggiato ad amplificare tattiche analoghe nel Kashmir o in India, replicando l'attacco al parlamento indiano del 2001 o quello a Mumbai del 2008. Lo scopo di un processo di questo tipo sarebbe una guerra di prossimità che sfrutta le divisioni etniche in Afghanistan e altrove, soprattutto fra India e Pakistan, Paesi dotati di armi nucleari.

Gli altri vicini dell'Afghanistan sarebbero esposti a un rischio analogo, qualora un governo o una regione sotto controllo talebano ripristinassero le consuetudini talebane. Tutti i vicini sarebbero minacciati: Russia, nel Sud in parte musulmano, Cina nello Xinjiang, Iran sciita per via delle correnti fondamentaliste sunnite. A sua volta, il vuoto politico stimolerebbe la tentazione dell'Iran di armare milizie settarie, strategia già adottata in Libano e Iraq.

Le complessità di una strategia di uscita sono molteplici, considerando le relazioni tese fra Pakistan e Iran. Questi Paesi non hanno l'opzione del ritiro dalla zona. Se i loro interessi in Afghanistan non sono collegati a quelli americani, l'Afghanistan vivrà sotto una minaccia permanente. Senza un accordo che definisca il ruolo di sicurezza dell'Afghanistan, i Paesi vicini sosterranno fazioni rivali attraverso antiche linee etniche. Questa è la ricetta di un conflitto più ampio. L'Afghanistan potrebbe giocare un ruolo analogo a quello dei Balcani alla vigilia della prima guerra mondiale.

Un esito di questo tipo minerebbe la sicurezza dei Paesi confinati con l'Afghanistan, più che dell'America. Serve uno sforzo diplomatico in parte regionale e in parte globale che accompagni la trattativa diretta con i talebani. Fintanto che l'America sosterrà l'onere maggiore, i vicini degli afghani potranno evitare decisioni difficili. Nel momento in cui il ritiro statunitense alla fine del conflitto sarà reso esplicito e inesorabile, saranno costretti a riconsiderare la situazione. La scadenza formale stabilita dalla Nato, quella implicita dell'amministrazione Obama e l'umore dell'opinione pubblica rendono impossibile portare avanti una guerra civile a tempo indeterminato. Un ritiro immediato rischierebbe di rivelarsi controproducente.

Urge un intervento di diplomazia multilaterale che definisca quale interesse di sicurezza internazionale comune la messa al bando dei centri di addestramento e delle infrastrutture terroristiche in Afghanistan. Si potrebbe fissare una data entro cui raggiungere un livello di presenza residua, diciamo da qui a 18-24 mesi. Qualora dovesse emergere un meccanismo di attuazione internazionale affidabile, le forze Usa rimaste potrebbero farne parte. Una conferenza regionale è l'unica strada per assicurare il rispetto di qualsiasi accordo bilaterale con i talebani. Se il processo si dimostrerà impraticabile, i vicini dell'Afghanistan dovranno affrontare da soli le conseguenze della loro abdicazione.

Dopo i ritiri degli Usa dall'Iraq e dall'Afghanistan e i limiti imposti dalla rivoluzione egiziana al respiro dell'azione strategica americana, una nuova definizione della leadership americana e dell'interesse nazionale degli Usa è imprescindibile. La stabilizzazione sostenibile degli assetti nella regione afghana sarebbe un buon inizio.
(Traduzione di Francesca Marchei)
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