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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2011 alle ore 09:01.
L'ultima modifica è del 05 luglio 2011 alle ore 09:01.

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Coraggiose premesse poi un gran polverone d'interdizione e, infine, epilogo scialbo e deludente sui costi della politica. Nella manovra del governo le economie su tali costi, realizzabili in tempi brevi, insistono su capitoli di spesa secondari che non intaccano l'esorbitante esercito della politica.

Inoltre, i risparmi possibili più sostanziosi o non sono stati considerati o sono stati rinviati alle calende greche, scaricati in modo aleatorio sul biennio 2013-14 (sulla prossima legislatura).
Sotto l'etichetta, pressoché inviolabile, dei "costi della politica" sono accomunate categorie di spesa che spesso vengono intenzionalmente confuse per rendere "credibile" che la riduzione di spesa possibile nel dominio dei politici sarebbe effimera e non certo decisiva per la stabilizzazione finanziaria del Paese. Anche in questo caso, il governo, nonostante le intenzioni iniziali di Tremonti, ha deciso di non intervenire con tagli selettivi e significativi sulle spese ormai leggendarie della politica italiana, né ha ritenuto di applicare un taglio lineare (a cui era ricorso in precedenza) che, se del 20%, avrebbe prodotto in tempi brevi un risparmio prossimo ai 4 miliardi a fronte degli oltre 45 della manovra pluriennale. Ha, di fatto, ritenuto che per risollevare la finanza pubblica, la crescita e lo sviluppo del Paese, le élite politiche non dovessero contribuire direttamente, nonostante siano tra le cause principali dell'affanno italiano.

In realtà, l'area pubblica statale e decentrata avrebbe bisogno non di tagli lineari, ma di una razionalizzazione, articolata in misure selettive, inscritte in una strategia di rigore e di crescita del Paese. Perciò quello che sarebbe servito è guardare dentro i costi della politica e distinguere. Innanzitutto, ci sono i costi diretti della classe politico-istituzionale (dalle alte cariche agli esecutivi e ai parlamentari/consiglieri a diversi livelli) e dei partiti.
La proposta di Tremonti di parificare il trattamento economico dei parlamentari (e quant'altri nelle varie Agenzie) a quelli dei colleghi europei appare opportuna e significativa sul piano del risparmio, ma viene rinviata alla prossima legislatura, mentre il Paese avrebbe bisogno di quelle risorse prima, per cercare di eliminare il deficit pubblico, almeno, entro il 2013.

Anche la riduzione del 10% dei rimborsi elettorali ai partiti politici segue la logica del rinvio (alla prossima legislatura) e della cautela estrema su questa materia controversa: è vero che tali rimborsi saranno proporzionati alla durata effettiva della legislatura e che il 10%, cumulato a tagli già previsti in precedenza, diventa circa un 30% in meno, ma è inoppugnabile che essi sono aumentati di oltre il 150% in dieci anni e che la riduzione prevista è ben poca cosa (circa 50 milioni di risparmio) ai fini della manovra. Al contrario, le disposizioni previste dalla manovra non toccano minimamente i costi complessivi di una classe politico-istituzionale cresciuta a dismisura, sul piano numerico nella seconda Repubblica, durante la quale il disegno europeista delle regioni è stato appesantito, a livello locale, da un'architettura sovrabbondante e barocca (regioni, province, comuni).

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