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Questo articolo è stato pubblicato il 05 luglio 2011 alle ore 09:01.
L'ultima modifica è del 05 luglio 2011 alle ore 09:01.

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Una forte riduzione della spesa complessiva per emolumenti "politici" andrebbe realizzata soprattutto con un taglio delle cariche elettive e di nomina: una prospettiva sulla quale le forze politiche inevitabilmente si incartano, perché la riduzione delle poltrone svilirebbe il faraonico "capitalismo politico" con i suoi riti di cooptazione e di riciclaggio del personale, le sue impellenti necessità di lottizzare, i suoi sprechi vistosi. Nonostante le promesse elettorali, il governo dunque non ne vuole sapere di eliminare le piccole province né i comuni con meno di 15mila abitanti. Eppure l'adozione di queste due misure, da sola, comporterebbe risparmi per oltre 4 miliardi di euro. Sparirebbero circa 50mila tra poltrone e strapuntini privilegiati.

Già, il privilegio è il secondo capitolo dei costi del ceto politico-istituzionale. Tremonti, che rifugge giustamente la retorica contro la casta, ammette però che i politici da classe siano diventati un ceto che indulge nell'ostentazione di privilegi. Il ministro perciò fa calare la scure su aerei e auto blu (4,4 miliardi la spesa annua), ma non affronta la questione scottante della soppressione dei "vitalizi", ad appannaggio di parlamentari e consiglieri, che di frequente sono cumulati, grazie al modello del politico di professione per tutta la vita, "dalla culla alla bara". Il ceto agiato della politica è, inoltre, fonte di uno sperpero di denaro pubblico, più che percepito dai cittadini sia in termini di bassa produttività degli stessi politici sia per la farraginosità del funzionamento istituzionale. A questo riguardo, un'analisi recente della Uil ha messo in luce che sarebbero possibili importanti economie (altri 6,5miliardi).

Il ventaglio di tutte queste opportunità di risparmio sui costi della politica, dimostrano che la riduzione della spesa non è una leggenda antipolitica, semmai, una richiesta "impolitica" dell'opinione pubblica a cui le élite politiche continuano a fare orecchie da mercante. Dalla manovra ci si attendeva una consistente e tempestiva decisione in quanto a emolumenti, numero e privilegi dei politici. Non solo per la quantità di risorse ottenibili, come visto tutt'altro che trascurabili, ma perché sarebbe stato un bell'esempio nel momento in cui si mettono le mani nelle tasche dei cittadini e delle imprese. Altrimenti la fiducia verso il ceto politico rimane ancorata alla battuta antipolitica di Totò: «A proposito di politica, ci sarebbe qualcosa da mangiare?»

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