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Questo articolo è stato pubblicato il 11 luglio 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 11 luglio 2011 alle ore 08:50.

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La fatica e l'affanno dell'economia nel nuovo contesto internazionale ha appannato le energie vitali dei produttori. Come ha scritto Giuseppe De Rita sul "Corriere della sera" del 30 aprile, «viviamo da anni in deficit di vitalità endogena». La non-crescita è il sintomo più appariscente di questa vitalità soffocata. Se la concorrenza sui mercati internazionali è più difficile, almeno sul mercato interno il settore dei servizi avrebbe potuto offire sbocchi di lavoro e di creatività imprenditoriale. Ma anche qui si pone il problema dell'inefficiente partnership pubblico/privato. Il settore dei servizi richiede, per dare sviluppo, una grande facilità d'ingresso, la rimozione di barriere alla concorrenza, la liberalizzazione degli orari di lavoro, richiede di disincrostare le norme anti-competitive degli ordini professionali, meno burocrazia e meno adempimenti.

Richiede, insomma, un'azione dell'operatore pubblico attenta alla concorrenza e una riforma dell'operare minuto della pubblica amministrazione. Le grandi architetture dei conti pubblici sono state salvaguardate in questi anni di crisi, ma se le quantità hanno retto la qualità è rimasta sul basso livello di sempre. Tutte le azioni di contenimento del deficit si sono basate sulla logica dei tagli, mai sulla logica della riforma della spesa intesa nel senso di una revisione dei meccanismi al livello delle viti e bulloni dell'operare: dell'organizzazione della produzione (se vogliamo applicare ai servizi pubblici termini aziendalistici), delle procedure, dei bolli, dei livelli di approvazione, delle responsabilità dei dirigenti, dell'autonomia di questi nel gestire risorse con una flessibilità negata dai rigidi capitoli e capitoletti di spesa del bilancio pubblico.

La tesi del declino è fondata, ma il declino non è inevitabile. Sempre De Rita vede qualche luce in fondo al tunnel. L'era dell'individualismo è finita e l'altro estremo - il funzionamento della macchina statale - non offre efficaci azioni partecipative. Se sia l'individuo che lo Stato non riescono a collaborare, dove cercare la salvezza? La risposta di De Rita è: nei corpi intermedi. L'Italia ne ha molti, da una rete di volontariato meritoria e vitale ai sindacati, alle associazioni datoriali, agli stessi ordini professionali. Se questi riescono a filtrare gli interessi individuali e farne interessi collettivi (non semplicemente corporativi), allora la società può evolvere verso forme di convivenza che favoriscono le attività produttive. La creazione di Rete Impresa Italia, le tendenze consortili che si affacciano in molti territori, l'unità di azione nell'agricoltura fra Unci e Coldiretti, o nelle costruzioni fra Uncem e Anci, sono tutti indizi che indicano un fermento che «c'è e opera», come dice De Rita.

Se son rose fioriranno. Intanto, a mo' di consolazione, possiamo ricordare le parole di Orson Welles in "The Third Man": «In Italia per trent'anni sotto i Borgia ci furono guerre intestine, terrore, assassinii e spargimenti di sangue, ma l'Italia produsse Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera ci fu amore fraterno, 500 anni di democrazia e di pace. E che cosa hanno prodotto? L'orologio a cucù».

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