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Questo articolo è stato pubblicato il 06 agosto 2011 alle ore 08:14.

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La concessione di prestiti agli Stati implica pertanto rischi insondabili che ricadranno su specifici individui, disposti a pagarne le conseguenze. Storicamente, l'attività creditizia sovrana veniva gestita da alcuni intrepidi finanzieri, che conducevano abili affari ed erano esperti di gestione della cosa pubblica. La concessione di prestiti ai Governi a fronte della garanzia collaterale di un porto o di una ferrovia, o l'uso della forza militare per garantire il rimborso, erano pratiche ben note.

Dopo gli anni 70 la concessione di prestiti sovrani fu istituzionalizzata. Successivamente, gli accordi di Basilea stuzzicarono l'appetito delle banche che decisero di acquisire un maggiore numero di titoli di Stato spacciandoli per titoli privi di rischi. Le banche si fecero carico del debito ad alto rendimento di Paesi come la Grecia, perché non serviva altro che accantonare un capitale molto basso. Il debito era ad alto rating, ma come si potevano valutare in modo oggettivo le obbligazioni non garantite e praticamente non vincolanti?

L'attività creditizia bancaria nei confronti dei beneficiari sovrani si è rivelata un doppio disastro, giacché ha favorito un eccessivo indebitamento, soprattutto in quei Paesi con Governi irresponsabili o corrotti. E, poiché gran parte del rischio viene sostenuto dalle banche (e non dagli hedge fund), che rivestono un ruolo centrale nell'agevolare il sistema dei pagamenti, una crisi del debito sovrano può causare ampi danni. La débâcle greca ha messo a repentaglio il benessere di tutta l'Europa, non solo della Grecia.

La soluzione volta a interrompere il nesso tra crisi di debito sovrano e crisi bancarie è chiara: limitare l'attività creditizia delle banche laddove la valutazione della volontà e dell'abilità dei beneficiari di ripagare non sia un enorme salto nel buio. E quindi stop ai debiti sovrani oltre-frontiera (o a strumenti esoterici come i Cdo, collaterized debt obbligations). Questa semplice regola non richiederebbe una riorganizzazione complessa degli accordi fiscali europei, né tantomeno la creazione di nuove entità sovranazionali. Renderebbe certamente difficile per i Governi contrarre prestiti all'estero, ma ciò sarebbe un buon risultato per i cittadini. Inoltre, ridurre l'accesso dei Governi al credito internazionale (e, per esteso, indurre una maggiore responsabilità fiscale) potrebbe effettivamente aiutare un numero maggiore di beneficiari intraprendenti e produttivi. Tali vincoli non risolverebbero l'attuale crisi in Portogallo, Irlanda, Grecia o Spagna. Ma è tempo che l'Europa, e il mondo intero, la smettano di barcamenarsi tra un problema e l'altro e affrontino le vere questioni di natura strutturale.

(Traduzione di Simona Polverino)

© PROJECT SYNDICATE, 2011.

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