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Questo articolo è stato pubblicato il 07 agosto 2011 alle ore 07:29.
L'ultima modifica è del 07 agosto 2011 alle ore 14:18.
Con la storia alle spalle, oggi viene da osservare che quelle fondate aspettative e quella mobilitazione sociale, insieme individuale e collettiva, fu favorita dal fatto che ricostruire il Paese sulle macerie della distruzione aveva suscitato nuove forme di "solidarietà organica", di cui oggi abbiamo perduto traccia. Quel movimento in avanti era però trainato anche da una leadership adeguata. Certo era un mondo più semplice da governare.
La sensazione è che l'Italia fosse un Paese guidato da élite traenti. La politica, tutto sommato, non era così schiava dei telai clientelari che oggi producono le trame dei privilegi del ceto politico. Quelle élite di moralizzatori, con un carattere sociale diverso dagli attuali persuasori, fecero scelte giuste: quella atlantica, quella europeista, quella delle infrastrutture e di sostenere l'industrializzazione. La collocazione atlantica ed europeista ebbe un riverbero positivo sulla formazione delle classi dirigenti economiche. Le élite politiche ed economiche erano composte di self made men formatisi sul campo della ricostruzione e dello sviluppo.
Era l'epoca dei grandi leader, da De Gasperi a Togliatti, dei grandi commis di Stato come Enrico Mattei, dei grandi capitani di industria da Agnelli a Borghi, da Pirelli a Marzotto per citare qualche nome. Una classe dirigente che seppur fortemente pilotata dalle pressioni estere e dal potere di veto che la Chiesa cattolica ha sempre esercitato sullo Stato, era ben visibile come leadership nazionale composita e plurale. Non solo politici e capitani d'industria, ma anche grandi registi del cinema e alcuni nomi della cultura. Quella classe dirigente fu, in alcuni personaggi e segmenti, un'élite illuminata che allontanò storiche angosce collettive del Secolo breve (fame, guerra) e a condurre il Paese sulla soglia del benessere, pur tra vecchie e nuove contraddizioni, soprattutto di ordine sociale.
Negli anni seguenti, la forza della metamorfosi sociale era destinata a farsi sentire, ma un importante tratto di strada era stato percorso e l'Italia ricostruita si era affacciata ai mercati, a prezzo di sacrifici smussati dall'aspettativa di un futuro migliore nell'interesse comune. Ricordare quella giornata suscita molti pensieri "italiani" che ci riportano all'oggi: quanto l'orgoglio italiano sia mortificato dalla debolezza di valori condivisi e, soprattutto, da una guida in grado di comunicarli. Ricordarla, è un po' come sperare di leggere il futuro tra le ceneri della memoria ed essere orgoglioso di un'Italia intesa come una lunga storia da continuare.
c.carboni@univpm.it
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