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Questo articolo è stato pubblicato il 11 agosto 2011 alle ore 08:39.
L'ultima modifica è del 11 agosto 2011 alle ore 09:12.

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Nel dibattito di questi giorni c'è la consapevolezza che l'Italia ha bisogno di varare due tipi di interventi: politiche di stabilizzazione fiscale e politiche di sostegno alla crescita. Le prime mirano ad invertire, in un dato arco di tempo, la tendenza all'aumento del rapporto debito/Pil e a contenere quindi il rischio di default. La decisione di anticipare il pareggio di bilancio al 2013 va in questa direzione.

Le politiche di sostegno alla crescita contribuiscono non solo ad uscire più rapidamente dalla stagnazione corrente ma ad accrescere il tasso di crescita di trend dell'economia italiana e invertirne il declino. E' anche chiaro a tutti che senza un ritorno alla crescita è estremamente difficile stabilizzare il debito e che, quindi, queste ultime politiche sono la vera chiave di volta per il nostro paese. La lista degli interventi di un programma per la crescita è stata proposta diverse volte, anche su questo giornale. La caratteristica del programma è di superare diversi nodi strutturali agendo su varie componenti dell'offerta con lo scopo ultimo di accrescere l'efficienza del nostro sistema economico e quindi i tassi di crescita della produttività. Ma su questo programma aleggia spesso un dubbio e viene sollevata un obiezione: queste politiche danno i loro frutti solo nel lungo periodo mentre il paese ha bisogno di crescita ora e subito. Giuliano Amato illustra bene questa obiezione quando sostiene che «…non sarebbe certo di qui che verrebbe quella impennata della crescita di cui abbiamo bisogno non fra tre anni, ma fra tre mesi…» (Il Sole del 26 giugno). La forza dell'obiezione risiede nel fatto che le politiche di riforma sono spesso avvertibili dopo anni.

Vi sono due risposte a questa apparentemente valida critica. La prima, più banale, è che l'Italia non può permettersi politiche che sospingano la crescita nel volgere di pochi mesi: tipicamente queste sono politiche di sostegno della domanda attraverso tagli di imposte o aumenti di spesa pubblica. Provvedimenti di questa natura sono in conflitto con l'obiettivo, questo si da realizzare con immediatezza, di risanamento fiscale. La seconda risposta, più sostanziale, è che nell'attuale contesto del paese l'idea che politiche di crescita che hanno effetti differiti e li dispiegano solo lentamente, anche nell'arco di molti anni, non aiutano la crescita immediata è falsa. Una svolta nella politica economica che vari un ambizioso programma di riforme per alimentare la crescita futura forse di poco ma in modo duraturo e prevedibile avrebbe importanti effetti immediati. La ragione è che molte delle decisioni prese dalle famiglie e dalle imprese sono basate sulle prospettive dei loro redditi non di oggi né di domani ma di quelli che sono in grado di guadagnare durante l'arco della loro vita. Per molte scelte quindi quello che conta sono le prospettive a medio termine, non quelle a breve.

La decisione di una impresa se continuare a localizzare la propria produzione e vendita in Lombardia dipende dalla prospettive che l'economia lombarda riprenda a crescere stabilmente, altrimenti tanto vale cedere alla tentazione di spostarsi armi e bagagli, che so, in Brasile. Un serio piano di riforme potrebbe trattenere in Italia tutte quelle imprese che oggi si interrogano se non convenga lasciare il paese. Analogamente, i piani di spesa delle famiglie risentono delle loro attese per il medio termine: chi vede prospettive di miglioramento durante l'arco della propria vita per sé e per i figli è disposto ad accollarsi un mutuo e comprare un immobile, a sostenere consumi più elevati, a incoraggiare i propri figli a investire la loro intelligenza in questo paese e a non spronarli a cercare prospettive altrove. Questi effetti non solo vanno nella giusta direzione ma sono quantitativamente importanti: la semplice algebra dice che un aumento stabile del tasso di crescita del reddito di mezzo punto percentuale per una persona che ne beneficia per trenta anni accresce il suo consumo corrente del 6.5%; l'effetto sarebbe del 3.2% se l'incremento della crescita fosse solo di un quarto di punto. Non c'è oggi realistico programma di incremento di spesa pubblica che possa incoraggiare la domanda corrente altrettanto quanto un piccolo miglioramento nelle prospettive di crescita. Questo stesso ragionamento viene fatto da chi si è impegnato, con i propri risparmi, a dare credito al nostro paese: non sono le difficoltà temporanee che spaventano gli investitori ma la possibilità che il paese non riesca a superarle. La risoluzione dei nostri problemi di breve passa solo ed unicamente attraverso le politiche di lungo periodo. Dati alla mano è solo da lì che può arrivare quella impennata immediata alla crescita che tutti reclamiamo.

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