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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2011 alle ore 19:15.
L'ultima modifica è del 18 agosto 2011 alle ore 08:23.

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Pensioni, due anomalie e un'occasione da non perdere (Imagoeconomica)Pensioni, due anomalie e un'occasione da non perdere (Imagoeconomica)

Ogni volta che si mette mano al sistema pensionistico italiano scatta immediata l'accusa di voler fare 'macelleria sociale' o di volere compromettere 'diritti acquisiti' dei lavoratori. Solitamente tale riflesso condizionato si riscontra nelle reazioni della sinistra politica e sindacale, ma la pigrizia, la disinformazione e l'approssimazione contribuiscono a diffonderlo anche in altri ambienti. Proviamo allora a fissare un concetto: il sistema previdenziale è stato già riformato diverse volte, da maggioranze di diverso colore politico, ma richiede ancora d'essere messo in equilibrio e sicurezza, e ciò lo si deve fare anche per ragioni di giustizia sociale.

Ci si occupa sempre di quanti si accingono ad andare in pensione e mai di chi s'accinge a entrare nel mercato del lavoro. Si parla sempre dell'età pensionabile delle donne nel privato, e mai del fatto che nel settore pubblico la si è velocemente parificata a quella degli uomini, sollecitati in tal senso da una sentenza della Corte di Giustizia, senza provocare proteste.

Se si guarda il problema nel suo insieme, e se lo si esamina proprio con particolare attenzione alla socialità e alla giustizia intergenerazionale, molti luoghi comuni crollano. La realtà è molto meno ideologizzata di tanti propagandisti che parlano a lavoratori che non conoscono.

Le riforme dei governi Amato (1992), Dini (1995) e Prodi (1997) hanno profondamente modificato un sistema che negli anni era divenuto insostenibile e iniquo. Insostenibile perché in un'Europa che invecchiava e invecchia, l'Italia invecchiava e invecchia di più e più velocemente. Iniquo perché sussistevano differenze fortissime (nelle modalità di calcolo del beneficio pensionistico e nelle regole di accesso) tra settori e all'interno degli stessi settori tra chi andava in pensione di anzianità e chi, invece, doveva aspettare la vecchiaia. Le riforme, varate a partire dagli anni 90, hanno corretto le principali anomalie: squilibrio finanziario, iniquità distributive, distorsioni del mercato del lavoro. L'età pensionabile è stata progressivamente innalzata e gradualmente ridotte e annullate molte delle differenze di trattamento tra lavoratori privati e pubblici. Si è adottata una nuova formula per il calcolo della pensione, che ispirandosi a principi di equità attuariale si basa su quantità dei contributi versati e durata prevista del pensionamento. Gli interventi hanno riguardato, come è noto, le varie coorti di lavoratori in misura e con modalità molto diverse: massima per coloro che sono entrati nell'occupazione a metà degli anni 90, significativamente meno rilevante, e inversamente correlata agli anni di lavoro effettuati, per chi al momento della riforma aveva già contribuito al sistema.

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