Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 14 settembre 2011 alle ore 08:35.
L'ultima modifica è del 14 settembre 2011 alle ore 06:40.

My24

Il pareggio di bilancio è la stella polare di ogni buon ministro del Tesoro. Mito più che realtà. Non a caso, in Italia solo Minghetti portò, nel 1875, il bilancio in pareggio. Ma durò poco e non ci riuscì nessun'altro, da 136 anni. Logico dunque che, nei momenti di difficoltà, lo s'invochi e si cerchi di applicarlo concretamente.

In realtà non sarebbe necessaria nessuna legge per attuare un semplice principio di buonsenso ma, tenendo conto che il più delle volte il buonsenso va "aiutato", una prescrizione normativa può servire alla bisogna. A condizione che non finisca nel novero delle "grida" e non possa essere elusa. Quindi non basta statuire il principio nella legge di contabilità, è più saggio inserirlo direttamente in Costituzione; in modo che le ordinarie leggi di bilancio o di spesa non lo possano ignorare e che, in caso di violazione, possa intervenire la Corte costituzionale.

L'idea non è nuova. Basti pensare alle proposte della scuola americana del cosiddetto costituzionalismo economico, proposte riprese anche in Parlamento da noi, ad esempio da chi scrive a partire dal 1998. Il fatto dunque che il Consiglio dei ministri abbia approvato un disegno di legge di modifica della Costituzione in questa travagliata materia non può che essere salutato con soddisfazione. La circostanza poi che anche gli altri Stati della zona euro abbiano adottato o stiano approvando analoghe misure costituisce la migliore dimostrazione dell'esistenza di un reale spirito costituzionale europeo che va al di là di qualunque interesse contingente di questo o quel Paese.

Per fugare ogni possibile equivoco, occorre tuttavia essere estremamente chiari circa ciò che s'intende con l'espressione "bilancio in pareggio". Infatti ogni bilancio (il termine stesso richiama la stadera, dove pesi e merce devono porsi al medesimo livello) è per definizione in pareggio. Il problema è vedere da cosa sono formate le voci dell'entrata e della spesa. Per troppi anni parte consistente dell'entrata è stata composta da accensione di prestiti - cioè nuovi debiti - per far fronte a spese correnti. L'equilibrio formale era salvo, ma nel frattempo s'impegnavano le risorse che si sarebbero dovute realizzare in futuro per spendere oggi. E se il meccanismo può funzionare in periodi ordinari, quando serve a incrementare il capitale fisso - come è il caso di chi sottoscrive un mutuo per pagare la casa - è folle se è utilizzato per assumere nuovi impiegati o per aumentarne le paghe.

Precisare che per pareggio s'intende la corrispondenza del valore di tutte le spese a quello di tutte le entrate fiscali ed extrafiscali, a eccezione di quelle di carattere straordinario, di quelle derivanti dall'alienazioni di beni immobili e di partecipazioni, nonché di quelle provenienti da accensione prestiti, potrebbe essere utile. Quanto al ricorso al debito, che ordinariamente non può essere criticabile per le spese d'investimento - salvo ovviamente intendersi su ciò che queste significhino e sapendo che esse non possono certo ricomprendere alcuni sussidi di disoccupazione - in periodi eccezionali come questo può essere ragionevole escluderlo in linea di principio, nella consapevolezza tuttavia che tale scelta potrebbe comportare effetti sul tasso potenziale di crescita.

Shopping24

Dai nostri archivi