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Questo articolo è stato pubblicato il 19 settembre 2011 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 19 settembre 2011 alle ore 08:47.

Davanti all'aggravarsi della crisi dell'eurozona, il Fondo monetario internazionale potrebbe finalmente riconoscere la necessità di rivedere il proprio approccio. L'appello del nuovo direttore generale, Christine Lagarde, che chiamava a una ricapitalizzazione forzata del sistema bancario europeo è un buon inizio.

La reazione esasperata dei manager europei - le banche stanno bene, insistono, hanno solo bisogno di un supporto di liquidità - dovrebbe rafforzare la determinazione del Fondo a preoccuparsi per l'Europa.
Finora il Fondo, in modo sincopato, ha supportato ogni iniziativa dell'Europa per salvare la sovra-indebitata periferia della zona euro, consegnando più di 100 miliardi di dollari a Grecia, Portogallo e Irlanda. Sfortunatamente l'Fmi sta rischiando non soltanto i soldi dei suoi membri ma, in definitiva, la sua stessa credibilità istituzionale.

Soltanto un anno fa, al meeting annuale dell'Fmi a Washington, i funzionari più esperti sostenevano che il panico per la crisi del debito sovrano in Europa era una tempesta in un bicchier d'acqua. L'Fmi sosteneva che perfino le dinamiche del debito della Grecia non fossero un problema serio, grazie alla crescita e alle riforme anticipate. Non importa l'evidente falla nella logica del Fondo, che non tiene conto del fatto che Paesi come la Grecia e il Portogallo affrontano politiche e rischi nel metterle in atto di gran lunga più simili a quelli dei mercati emergenti che a quelli delle economie avanzate come la Germania e gli Stati Uniti.

Con il peggioramento della situazione, ci si sarebbe aspettato che l'Fmi correggesse il giudizio che aveva avuto fino a quel momento sul funzionamento dei meccanismi di mercato e che adottasse un tono più cauto. Invece al meeting di aprile 2011 uno dei manager ha dichiarato che il Fondo considera la fiaccata Spagna un Paese chiave dell'eurozona come la Germania piuttosto che un Paese periferico come la Grecia, il Portogallo o l'Irlanda. Evidentemente gli investitori avrebbero dovuto ritenere come per tutti i problemi pratici la Spagna debba essere considerata identica alla Germania. La mia reazione sarcastica è stata: «Adesso il Fondo pensa che alcuni dei Paesi fondamentali della zona euro corrono un rischio di default!».

Essendo stato capo economista del Fondo dal 2001 al 2003, so bene che l'Fmi deve riuscire a stare in equilibrio tra conquistarsi la fiducia degli investitori e scuotere i decisori autocompiaciuti. Ma una cosa è essere cauti nel mezzo di una crisi, un'altra è dire cose senza senso.
Il defunto economista della scuola di Chicago George Stigler avrebbe descritto il comportamento dell'Fmi in Europa come una regulatory capture acuta. Detto in parole povere, l'Europa e gli Stati Uniti hanno troppo potere nell'Fmi e il loro modo di pensare è dominante. Quello che i leader europei vogliono maggiormente dal Fondo sono prestiti facili e un forte supporto retorico. Ma quello di cui l'Europa ha veramente bisogno sono le valutazioni oneste e la severità che il Fondo ha tradizionalmente riservato agli altri suoi clienti, meno influenti da un punto di vista politico.

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