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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 13:54.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2011 alle ore 13:55.

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Due notizie ampiamente riportate ieri sulla prima pagina del Sole 24 Ore hanno collegato il loro contenuto con quelli della conferenza organizzata a Milano dal Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale e dalla Fondazione Cariplo, sulle disuguaglianze economiche e sociali, con la straordinaria partecipazione, a livello internazionale, di personalità del mondo istituzionale e accademico.

La prima notizia riguarda l'incredibile, preoccupante aumento di circa il 50% dei compensi dei top manager inglesi; la seconda concerne l'altrettanto preoccupante situazione delle banche tedesche e francesi, ricolme di titoli tossici e di bond greci, la cui situazione è giudicata a livello europeo meno allarmante rispetto a quella delle ben più sane banche italiane.
La prima considerazione che deve essere fatta e dalla quale non si può assolutamente prescindere, qualunque sia la valutazione dell'attuale crisi, è che purtroppo la situazione sia in Europa, sia negli Stati Uniti, e nel resto del mondo, continua senza nulla cambiare, ad esasperare l'ineguaglianza globale in termini sia oggettivi sia soggettivi, con il disperato aumento della povertà, alla quale globalmente corrisponde una spaventosa concentrazione di ricchezza e di reddito.

Se è indubbio che la forbice fra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri sta divaricandosi, il problema non può certo essere considerato solo in termini di prodotto interno lordo, bensì deve allargarsi sino a comprendere le conseguenze che la povertà produce sulla vita individuale delle persone, sulla loro partecipazione e capacità di godere dei beni primari della vita (John Rawls, Amartya Sen, Ronald Dworkin).
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Questi hanno riferimento costante a problemi di giustizia sociale, di libertà, di posto di lavoro, di conservazione della salute e di accesso all'istruzione. Mi piace a questo punto ricordare che di fronte al fallimento anche di precedenti sistemi economici come era quello dell'ordine liberale e della libertà degli scambi nel '700, il grande illuminista Nicolas de Condorcet aveva individuato l'origine della crisi nella trasformazione del denaro in potere politico, e del potere politico in influenza sui mercati. Già allora Condorcet poneva come prioritario l'accesso di tutti i cittadini all'istruzione.

Ebbene, nell'indagine sulle cause attuali delle disuguaglianze dovute alle divergenze tra Paesi ricchi e poveri e, all'interno di essi, alla ancor più intollerabilità della forbice, la colpa sottolineata con vigore dal libro di Jacob Hacker e Paul Pierson, Winner - Take - All Politics, è della politica dei governi americani a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, e non delle cosiddette forze del mercato, quasi a voler inconsciamente dimostrare la validità della formula di Condorcet "denaro - politica - mercati". La riduzione delle tasse sui ricchi, le politiche del lavoro a svantaggio dei sindacati, la corporate governance delle società che ha favorito i compensi stratosferici a banchieri e manager, e infine la deregolamentazione finanziaria, sono le politiche legislative che hanno creato un aumento indiscriminato di ricchezza nell'1% della popolazione, provocando sofferenze, povertà e disoccupazione sempre crescenti.

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