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Questo articolo è stato pubblicato il 30 ottobre 2011 alle ore 13:50.
L'ultima modifica è del 30 ottobre 2011 alle ore 14:10.

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«Se sei tedesco, ti basta saper leggere e scrivere per diventare direttore alla Commissione europea», dice, amaro, un funzionario italiano che quella carica se l'è conquistata per meriti professionali. Non certo sulle ali di una nazionalità che, per una ragione o per l'altra, nel corso dei decenni in Europa spesso più che un atout è stata un handicap.

Dopodomani Mario Draghi si insedia alla guida della Bce, l'istituzione che più di qualsiasi altra incarna il cuore tedesco della moneta unica e della nuova Europa che pian piano va a incominciare.
Clamorosa rivincita del sistema-Italia? Ancora una volta a catapultare il governatore della Banca d'Italia nel micro-club dei decisori globali prima che europei, accanto all'americano Ben Bernanke della Fed, alla francese Christine Lagarde del Fmi e a pochissimi altri, sono state soprattutto grande professionalità e credibilità personale insieme, come sempre, anche a circostanze fortunate. Detto questo è innegabile che di recente l'Italia sia riuscita a guadagnare posizioni ai vertici delle istituzioni europee. In particolare nella nicchia oggi ipersensibile dell'unione economica e monetaria e della finanza, banche in primis. Tanto da suscitare i mugugni dei partner: tedeschi e olandesi denunciano lo "strapotere italiano" e stanno tentando di correre ai ripari.

Una congiuntura favorevole in effetti ci ha permesso di candidare le persone giuste ai posti giusti.
E così, Draghi a parte, ci sono altri quattro italiani nei punti strategici del fortino europeo. Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, è diventato presidente del Cef, il Comitato economico e finanziario che è il regista "ombra" di tutte le riunioni dei ministri finanziari europei. Alla Commissione Ue sulla poltrona di direttore generale Ecfin, siede Marco Buti ora con rafforzati compiti di sorveglianza sulle performance dei Paesi euro, Italia in testa, impegnati nella corsa a rigore e riforme. Poi c'è Lorenzo Codogno, direttore al Tesoro, alla testa del Comitato europeo per la politica economica, l'organo che sforna studi comparati Ue su pensioni, mercato del lavoro, propedeutici al varo delle riforme strutturali targate Eu2020. E ancora.

Da gennaio alla guida dell'Eba, l'Autorità bancaria europea con compiti di vigilanza a livello comunitario, stress test sui maggiori istituti di credito compresi, c'è Andrea Enria, ex-Banca d'Italia. Messi così tutti in fila sono senza dubbio una bella serie di posti strategicamente eccellenti. Un'isola felice. Dove potrebbe comparire anche il nome di Dario Scannapieco, con una vicepresidenza alla Bei (di diritto per i grandi Paesi).
Tutto questo però non giustifica smodati trionfalismi. Certo, la rimonta dell'Italia nella Commissione Ue c'è stata: «Prima ci facevamo la guerra tra italiani, ora invece facciamo sistema», racconta uno degli attori della partita, che elogia l'impegno del vicepresidente Antonio Tajani come del nostro ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci. «Di italiano chi sale nelle istituzioni spesso ha solo il passaporto. Quasi mai le alte posizioni di responsabilità sono il risultato degli sforzi dalla capitale.

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