Storia dell'articolo

Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 12 novembre 2011 alle ore 11:34.

My24

Il gioco si sta facendo pericoloso. A questo punto avrebbe già dovuto delinearsi l'ampio «sostegno condiviso» all'ipotesi Monti: un sostegno che il presidente della Repubblica chiede ogni giorno con tono accorato, consapevole che all'inizio è bastato l'annuncio di un nuovo premier credibile per migliorare l'immagine italiana sui mercati e presso i nostri partner. Ma da martedì o mercoledì gli annunci non basteranno più: servirà che l'esecutivo prenda possesso dei suoi uffici e cominci a trasmettere messaggi positivi all'interno e all'estero.

Ovviamente chi vuole ritardare i tempi dovrà assumersi la responsabilità delle sue scelte. Ma se è Berlusconi il temporeggiatore, l'uomo che forse ha cambiato idea e sembra assecondare o incoraggiare gli oltranzisti, allora il rischio di finire nella nebbia è molto alto. Sta di fatto che il principale partito in Parlamento, il Pdl, continua ad agitarsi in preda alle convulsioni.

Pesa la rottura con la Lega, pesa la campagna di Giuliano Ferrara contro il «governo tecno-burocratico». C'è il sentimento di quanti si sentono scaricati e restano privi di un ruolo e di un'alternativa. E non va sottovalutata la tendenza di molti ad auto-convincersi che, se si andasse subito a votare, il centrodestra (ricomposta la frattura con il Carroccio) avrebbe speranze di contendere la vittoria al centrosinistra (con una campagna, s'intende, del tutto spregiudicata contro l'euro e i «padroni» dell'Unione: cancellerie nordiche, banchieri, eccetera.)
È chiaro che sarebbe uno scenario drammatico ed è poco plausibile che Berlusconi abbia voglia di mettersi alla testa di un movimento peronista del genere «Forza Silvio», contro tutto e tutti. Tuttavia i segnali d'allarme non mancano in queste ore. Fanno pensare che il premier uscente voglia alzare il prezzo della sua adesione alla soluzione Monti. Diciamo che vuole garanzie. Sul programma (niente patrimoniale) e in particolare sulla struttura del governo: in primo luogo un ministro della Giustizia non ostile; forse un ministro dello Sviluppo che non gli faccia rimpiangere Romani. Anche perché l'angoscia che attanaglia Berlusconi riguarda il futuro delle sue aziende, di Mediaset.

Tutta la polemica sul governo tecnico o politico tradisce questo problema. Un esecutivo puramente tecnico equivarrebbe al massimo della discontinuità con Berlusconi e quindi al minimo di garanzie per lui. Un esecutivo tecnico che rispecchiasse la cornice politica generale della maggioranza che lo appoggia andrebbe meglio: purché, sembra di capire, due o tre ministeri-chiave siano trattati con il vecchio leader dimissionario. In fondo anche le voci sulla volontà di candidare Alfano come premier obbediscono a tale logica: sottolineare la dimensione politica del futuro governo.
Naturalmente il Pd e anche il 'terzo polo' vogliono l'opposto. Preferiscono lasciare a Napolitano e Monti la scelta dei ministri tecnici, così da marcare il distacco dalla vecchia gestione. Un esecutivo con un marchio anche vagamente berlusconiano accrescerebbe le difficoltà del Pd di Bersani, proprio ora che il segretario è riuscito a ricreare un argine a sinistra. Alla saggezza della prima ora mostrata da Vendola, si unisce adesso un parziale ripensamento di Di Pietro. Ma il sentiero rimane stretto.
In definitiva il governo Monti può nascere solo se si marcia spediti verso l'obiettivo. Senza avviare trattative limacciose. Spetta a Napolitano, con il suo prestigio, rassicurare i leader politici e trovare, se possibile, un punto d'equilibrio. Ben sapendo che in ogni caso un pezzo del Pdl è disposto a staccarsi alla fine da Berlusconi per sostenere Monti. Come testimoniano le dichiarazioni di Frattini e Pisanu.

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi