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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2011 alle ore 06:39.

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A nord di Gomorra c'è un nome che non ti aspetti: Aprilia, in provincia di Latina ma a soli 40 chilometri da Roma. Da queste parti le mafie corrono più veloci delle omonime moto e non hanno bisogno di due ruote. A loro basta il cemento.
Non c'è da stupirsi. Frank Coppola "tre dita", leggendario boss siciliano braccio destro di Lucky Luciano, veniva a curarsi ad Aprilia negli anni Sessanta. Doveva fare pochi passi: era in confino a Pomezia.
Il suo arrivo fu l'inizio della fine. Ad Aprilia e in tutta la provincia di Latina vennero spediti negli anni i Casalesi, i boss di camorra delle famiglie La Torre, Alfieri, Moccia. E con loro arrivarono i Bardellino, ancora attivi, gli Schiavone e via di questo passo.
Fu poi la volta delle famiglie di 'ndrangheta: Tripodo, Pesce, Bellocco, Alvaro, Cangemi e così via. Oggi le cosche mafiose presenti sono almeno venti ma il calcolo è per difetto. Tutta la provincia, per il suo inatteso sviluppo economico e sociale, è sotto tiro delle mafie. Gli attentati e le intimidazioni contro imprenditori e commercianti, viaggiano al ritmo di due al giorno. Quelli contro le istituzioni si sprecano e omertà è la nuova parola d'ordine in questa ex oasi felice dell'Agro Pontino bonificata 75 anni fa dalla solerzia e dalla dedizione di mani friulane, venete ed emiliano-romagnole.
È Aprilia, ex Venere feconda dell'area, a smuovere i maggiori appetiti di camorra e 'ndrangheta che, nel frattempo, hanno raggiunto la pace nel nome degli affari.
Il business si chiama edilizia: il ciclo del cemento si presta come nessuno al riciclaggio del denaro sporco. L'allarme arriva da chi, sul territorio, rappresenta lo Stato: l'ex questore di Latina, Nicolò D'Angelo.
Nella seduta della Commissione parlamentare sui rifiuti del 25 maggio 2010, il cui oggetto erano le attività illecite connesse al traffico nel Lazio, il questore, incalzato dal parlamentare Antonio Rugghia, il quale aveva intuito che bisognava spostare il tiro, parla senza reticenze dei nuovi rischi.
«Credo che il problema riguardi la speculazione edilizia - afferma - e in particolare immobiliare. Dobbiamo fare i conti della spesa e capire quali sono le aziende e qual è l'indotto attraverso il quale, dal punto di vista economico, una città o una provincia sale di livello. Lì non ci sono grandi aziende o un grosso indotto economico ma la guerra del mattone. Alla fine sono queste le cose che contano. Noi abbiamo monitorato attentamente le famiglie». Ed ecco l'esempio. «Gli Alvaro hanno creato un'azienda di componenti elettrici e si sono inseriti in qualche appalto che noi abbiamo bloccato, sequestrando addirittura un palazzo nel corso di indagini che sono ancora in corso».

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