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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2011 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 16 novembre 2011 alle ore 06:40.

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Di fronte alle turbolenze nelle province, Eurolandia ha inviato dei nuovi governatori. Al posto dell'ondivago Georges Papandreou la Grecia ora ha Lucas Papademos, ex vicepresidente della Banca centrale europea. Al posto dell'inaffidabile Silvio Berlusconi, l'Italia ha Mario Monti, ex responsabile della politica per la concorrenza della Commissione europea.

L'Europa sta insediando i suoi nuovi governatori in Stati membri decaduti allo status di clientes. Funzionerà? Solo se il nocciolo duro di Eurolandia farà sforzi enormi perché funzioni.
In palio oggi non c'è solo la stabilità dell'economia europea (forse addirittura dell'economia mondiale), ma la sopravvivenza del tentativo di unire l'Europa più riuscito – e sicuramente più civile – dai tempi della caduta dell'Impero romano, 1.535 anni fa. Come osserva in un affascinante saggio Walter Scheidel, dell'Università di Stanford: «Duemila anni fa la metà, più o meno, del genere umano era sotto il controllo di due potenze soltanto, l'Impero romano e l'Impero Han».

Entrambi si sgretolarono. Ma l'Impero cinese fu ripetutamente restaurato e allargato, mentre quello romano si divise irreparabilmente. Il sogno della riunificazione, però, non morì mai: era evidente nei proclami dei papi e dei regnanti del Sacro romano impero, era il sogno che viaggiava sulle ali delle aquile napoleoniche, è l'aspirazione alla base dell'Unione Europea.
Anche lo spostamento del centro di gravità economico verso il Nord è storia antica. Perciò, quando la tedesca Angela Merkel, cancelliera dello Stato più potente d'Europa, chiede che «l'Europa costruisca una unione politica, per sorreggere l'euro e aiutare il continente a emergere dal momento più drammatico della sua storia dai tempi della Seconda guerra mondiale», io la prendo in parola. E non ho dubbi nemmeno che la maggioranza dell'establishment politico e imprenditoriale tedesco sia convinta che la sopravvivenza dell'euro e di un'Europa unita sia nell'interesse del Paese. Il dubbio è se sono pronti a pagarne il prezzo.

Nei secoli seguiti alla caduta di Roma, l'Europa divenne una Babele. Unire tanta diversità è una sfida da far tremare i polsi. La politica è locale, non europea, e lo stesso vale per i politici. La cosa forse non avrebbe importanza, se le decisioni prese a livello europeo fossero di scarsa rilevanza, ma la politica monetaria, la politica di bilancio o la regolamentazione del mercato del lavoro sono l'essenza della politica in un sistema democratico. Maggiore sarà la divergenza economica all'interno della zona euro, maggiori saranno le tensioni. Sfortunatamente, le differenze in termini di competitività prima della crisi, e di costo del credito dopo la crisi, sono state e sono enormi.

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