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Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2011 alle ore 07:59.
L'ultima modifica è del 16 novembre 2011 alle ore 06:40.

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Questa è dunque la situazione a cui è arrivato il progetto europeo del Dopoguerra. Dal suo esito dipenderanno le sorti dell'economia europea, del sistema bancario globale e forse dell'economia mondiale.
La mia interpretazione del comportamento della signora Merkel è che segue la strategia de «il minimo indispensabile, all'ultimo momento utile». In questo modo, spera forse la cancelliera, il popolo tedesco si convincerà a fare di più. E sempre in questo modo, si aspetta forse la cancelliera, i Paesi della periferia si metteranno in riga. Non lascerà che la situazione degeneri al punto di provocare il crollo dell'euro, ma non intende aprire troppo il portafoglio per evitare che i peccatori recidivi allentino i loro sforzi.

«Il minimo indispensabile all'ultimo momento utile» finora si è tradotto in "troppo poco e troppo tardi". Quella che all'inizio era una crisi che riguardava piccoli Paesi della periferia è diventata una conflagrazione. Gli spread sul debito sovrano sono schizzati in orbita. Ancora peggio: gli spread sui titoli di Stato ormai tengono conto in parte anche del rischio di una spaccatura della zona euro.
Monti e Papademos sono, quasi certamente, l'ultima speranza di riuscire a fare le riforme e l'aggiustamento nei rispettivi Paesi. Se la Grecia fallisse, sarebbe un problema seccante, ma se fallisse l'Italia sarebbe un disastro. Se l'Italia fosse costretta al default, potrebbe salire al potere un Governo populista deciso a portare il Paese fuori dall'euro. Se così avvenisse, pochi sarebbero al sicuro, Francia inclusa.

Ma il compito che ha di fronte Monti è durissimo. Come afferma Gavyn Davies, l'Italia potrebbe essere costretta a comprimere la spesa pubblica di oltre il 5 per cento del prodotto interno lordo per invertire la corsa al rialzo degli spread e cominciare a ridurre l'altissimo debito pubblico (oltre il 120 per cento del Pil). Considerando che una cura del genere avrebbe inevitabilmente effetti negativi sulla produzione, il risanamento dovrebbe assumere proporzioni ancora maggiori. Ma difficilmente gli investitori recupereranno la fiducia nella solvibilità dell'Italia se l'economia non dovesse ripartire. L'austerity non basta.

Anche le turbolenze innescate dalle previste riforme strutturali, in particolare quelle riguardanti il mercato del lavoro, metteranno a dura prova la fiducia. Considerando che un programma di rigore come questo indebolirebbe inevitabilmente la domanda interna, l'Italia dovrà puntare su una crescita trainata dalle esportazioni. Ma per recuperare la competitività perduta in quest'ultimo decennio ci vorrà parecchio tempo, e questo processo di per sé genererà un mix di alleggerimento degli organici e diminuzione dei salari nominali: la ricetta perfetta per disoccupazione, disordini sociali e nervosismo dei creditori.

Le possibilità che tutto possa filare liscio non sono alte. Il periodo di aggiustamento richiederà molti anni. Anche gli ostacoli politici saranno enormi, con Berlusconi sicuramente pronto ad attaccare il Governo Monti accusandolo di essere solo uno strumento di interessi stranieri. Berlusconi potrà usare i suoi mezzi di informazione per dare più risonanza ai suoi attacchi.
Monti avrà bisogno di una bella dose di fortuna. Avrà bisogno anche di un'enorme dose di aiuto, su tre fronti: innanzitutto, che venga almeno garantito il rifinanziamento del debito pubblico, con uno stanziamento intorno ai mille miliardi di euro; poi, che possa contare su mercati esterni redditizi e dinamici; e infine, che si proceda a rafforzare in modo credibile le fondamenta politiche dell'Unione, in misura sufficiente a rendere inconcepibile una rottura della zona euro.

Tutte queste cose dipendono dalla capacità della Germania di fare scelte coraggiose. E dipendono anche dalla Bce. Se la Banca centrale consentirà che Eurolandia si impantani in una crescita lenta, per non parlare di una recessione vera e propria, le prospettive per i grandi Paesi della periferia saranno pessime. L'Italia non è la piccola Irlanda: questo dovrebbe essere chiaro a tutti.
Eurolandia ha temporeggiato finché Roma stessa non ha cominciato a bruciare. Con il nuovo Governo ha forse l'ultima occasione possibile per spengere l'incendio. Sì, è concepibile che l'Italia rimanga nell'euro anche dopo un default, ma non può essere considerato probabile, e in ogni caso un default italiano avrebbe un effetto devastante sui mercati obbligazionari di tutto il continente e sulle banche di tutto il mondo. Il tempo del "troppo poco e troppo tardi" è passato. Ora, al contrario, c'è bisogno di "troppo e subito". Il potere comporta responsabilità. Solo la Germania ha il potere. Spetta a lei esercitare le responsabilità.
© The Financial Times Limited 2011
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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