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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2011 alle ore 08:15.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2011 alle ore 09:09.

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Gli Stati possono fare molto, moltissimo per il rilancio dell'economia, per evitare l'avvitarsi dei Paesi in un declino senza uscita.
Da dove cominciare? Da un fattore che può sembrare avere poco a che fare nell'immediato con il rilancio produttivo, ma che è essenziale. Parlo dell'Europa. Se un futuro ci sarà, non riguarderà la sola Italia o la sola Francia. E neppure la sola Germania. Riguarderà tutti i Paesi del continente insieme.

Solo portandoci al livello, anche dimensionale, dei problemi che abbiamo di fronte saremo capaci di reagire. In un mondo che torna a essere terreno di pascolo per i grandi dinosauri, la forza dei piccoli mammiferi è quella di organizzarsi in gruppo, altrimenti non hanno futuro.

Questo vale anche per i mammiferi un po' più grandi, quelli che potrebbero avere la tentazione di credere di poter fare da soli. E i partner tedeschi farebbero bene a capirlo presto.
Non si può far politica dando ascolto solo agli umori delle birrerie. L'economia tedesca sta traendo vantaggi enormi dalla moneta unica. È stata capace di fare le riforme necessarie, certo. Ma ora grazie all'euro vive un momento straordinario di tassi bassi e di capacità di export. Ne prenda atto. E contribuisca in modo responsabile al rilancio della moneta unica.

L'Europa non può più rinviare la costruzione di una politica finanziaria e di bilancio comune, la trasformazione della Bce in una vera banca centrale sul modello della Fed, il ricorso a strumenti di debito come gli eurobond, sia in funzione salva-Stati sia per finanziare le grandi opere infrastrutturali.
In questi giorni siamo tornati a sederci con maggiore credibilità al tavolo dei grandi d'Europa. Dobbiamo superare i nostri esami. Ma è giusto portare a quei tavoli anche queste istanze. Perché il futuro produttivo dei Paesi europei passa anche da qui.

Difendere i campioni nazionali non ha senso. Bisogna promuovere il più possibile l'integrazione europea anche nei gruppi industriali. Servono campioni europei, non nazionali. Soprattutto in quei settori dove più intenso è lo sforzo in ricerca e sviluppo e dove più rilevanti sono le economie di scala. In un mercato integrato e con una moneta unica, d'altra parte, sarebbe contraddittorio non cogliere questa opportunità.

C'è, per il rilancio produttivo, il tanto che si può fare nella politica interna. Da due anni che mi prodigo a sostenere le ragioni di una grande riforma fiscale: è venuto il tempo per spostare in modo draconiano il prelievo fiscale dalle imprese e dal lavoro verso la ricchezza ferma, quella improduttiva, i patrimoni. Vedo che questo obiettivo è tra i punti del governo Monti. Purtroppo il precedente esecutivo su questo ha prodotto solo parole e carte. Eppure è la ricetta alla base del successo dell'economia americana: non una fissazione da comunisti, ma una concezione liberale per cui la ricchezza da premiare è quella che genera ricchezza, che produce lavoro, non quella che si fissa in immobili o in banche estere.

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