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Questo articolo è stato pubblicato il 01 dicembre 2011 alle ore 08:31.

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La Bce può essere fedele al suo mandato sancito dal Trattato, mantenere la sua indipendenza dalla politica – soprattutto quella germanocentrica – e operare per tutelare anche il regolare funzionamento dei mercati, annunciando una politica di stabilizzazione dei rendimenti dei titoli sovrani dei Paesi membri dell'Unione, che fino a prova contraria sono oggi tutti illiquidi, non insolventi.

Tale politica sarebbe tanto più efficace quanto più credibile fosse l'annuncio. Da questo punto di vista, il coordinamento delle maggiori banche centrali potrebbe anche compiere un inedito salto di qualità. Se ciascuna banca centrale lo trovasse compatibile con il proprio mandato, l'acquisto di titoli europei potrebbe essere effettuato anche da altri. La Fed potrebbe senza dubbio farlo, tenendo conto dell'assoluto grado di discrezionalità che il suo statuto le assicura. La Fed, tra l'altro, può acquistare senza problemi anche titoli pubblici esteri, purché – come al solito – li consideri solvibili. Per una volta, il coordinamento delle banche centrali potrebbe rendere efficace quella discrezionalità che tanti danni ha fatto e ancora fa.

La crisi di liquidità è davvero una tossina micidiale: mette sullo stesso piano sia le cattive banche – che non hanno liquidità perché hanno ecceduto nell'assunzione del rischio – che le buone banche, utilizzando come catalizzatore il sistema dei rapporti, ampio e complesso, che ormai lega tutte le banche, a prescindere dalla loro fisionomia istituzionale, missione aziendale, ubicazione geografica.

In agosto, l'incertezza è nata dalle prospettive di crescita economica, passando alla sostenibilità dei debiti pubblici e propagandosi alla robustezza dei bilanci bancari. La propagazione è rapida e profonda perché il sistema bancario e finanziario è lo stesso che ha causato la crisi finanziaria del 2007-2009. Un sistema finanziario complesso e opaco, in cui le banche commerciali, soprattutto anglosassoni, sono spesso intrecciate con il sistema bancario ombra.

L'opacità moltiplica l'incertezza e colpisce i rapporti tra le banche, intaccando la domanda e offerta di liquidità. Ciascuna banca aumenta la sua avversione al rischio, di fronte a due situazioni: il rischio controparte, perché teme che qualche banca a cui ha prestato fondi non possa onorare i suoi impegni; il rischio liquidità, perché ha paura di non essere in grado di trovare fondi sul mercato, in caso di necessità.

In agosto ci sono stati evidenti segnali di nuove tensioni nella liquidità, soprattutto se si guarda alla domanda di riserve bancarie in dollari, distinguendo tra banche americane e banche straniere (tra cui le banche europee). Utilizziamo i dati della Fed: nell'ottobre del 2008 – appena scoppiata la crisi dei mercati in seguito al fallimento Lehman Brothers – le riserve in dollari delle banche americane sfioravano i 600 miliardi, mentre per le banche straniere superavano i 200 miliardi. Circa un anno dopo le riserve delle banche americane superavano gli 800 miliardi, mentre le banche straniere superavano i 300 miliardi. Da quel momento, le banche americane hanno iniziato a rallentare, mentre la domanda di dollari delle banche straniere è diventata sempre più forte. L'"aggancio" è avvenuto nella primavera del 2011, a un livello intorno ai 750 miliardi di dollari. Complessivamente, nel periodo compreso tra il novembre 2010 e l'agosto 2011, la domanda di dollari da parte delle banche non americane è aumentata di quasi 500 miliardi di dollari, e quella delle banche americane di circa 150 miliardi di dollari.

Dunque un primo indizio della corsa verso la liquidità in dollari delle banche europee è nei dati americani. Un secondo indizio è stato l'iniziativa presa dalla Fed proprio in agosto. In quei giorni la Fed annunciò pubblicamente un programma di verifica sulla liquidità delle banche europee negli Usa. Ne seguirono crolli sui mercati dei titoli bancari, tensioni ulteriori su un mercato interbancario già nervoso. Fu una iniziativa irresponsabile: le tensioni sistemiche sulla liquidità bancaria si prevengono con il coordinamento e i casi aziendali di illiquidità si gestiscono in silenzio. In quell'occasione invece la Fed non si coordinò con nessuno, dando una goffa spiegazione ex post della sua azione. Il terzo indizio che il tema della liquidità – probabilmente non solo in dollari – di alcune banche europee è rilevante giunge con l'annuncio di un coordinamento tra banche centrali.

Meglio tardi che mai, ma soprattutto è troppo poco. L'incertezza si combatte con politiche sistematiche, credibili e trasparenti. Occorre un duplice impegno: quello immediato delle banche centrali, con un perimetro che si allarghi ai nuovi protagonisti della liquidità, Cina in testa. Ma soprattutto quelli dei politici, europei e americani – spesso mal consigliati - che continuano a non vedere gli enormi rischi di crisi sistemica di illiquidità che possono nascere perché si continua ad avere lo stesso sistema finanziario opaco e mal regolato che ha generato la crisi.

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