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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2011 alle ore 13:54.
L'ultima modifica è del 11 dicembre 2011 alle ore 13:58.

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E di sicuro non consentono di imporre agli Stati dell'euro l'obbligo di adottare il pareggio di bilancio nelle loro Costituzioni e di vincolarsi alla giurisdizione della Corte di Giustizia europea come sede di verifica dell'adempimento dell'obbligo. Questo, certo, sono io a doverlo ammettere, ma resta da vedere quanto si tratti di un mutamento urgente e quanto invece non lo si poteva lasciare a quella procedura di emendamento che anch'io, insieme a Romano Prodi e all'intero Gruppo Spinelli, ritengo si debba perseguire per passare dall'unione fiscale a un'unione più fortemente politica. Ma la si deve perseguire - aggiungo - convocando una nuova Convenzione e creando così le premesse per una gestione meno brusca e traumatica delle paturnie britanniche.
Va inoltre notato, a proposito ancora delle innovazioni affidate all'accordo intergovernativo, che se esse sono ritenute davvero importanti per convincere i mercati di oggi ad avere più fiducia nella stabilità futura dell'euro (ma c'è chi pensa che prescrizioni volte a prevenire il prossimo infarto non servano molto a chi debba guarire da un infarto appena subito), allora i tempi stabiliti venerdì sono assai meno rapidi di quelli consentiti dal Trattato.

L'accordo infatti sarà firmato a marzo, ma poi ci saranno le ratifiche parlamentari e in più qualche referendum. A marzo, se si avviasse oggi la procedura dell'art.136, le misure sarebbero invece già vigenti. E il Parlamento europeo non ne sarebbe escluso.
Ma per le sfide che l'euro deve fronteggiare a breve - ci dicono le conclusioni del Consiglio - ci sono piuttosto gli strumenti di stabilizzazione. Ci doteremo intanto di un bazooka, aveva scritto qualcuno. E il bazooka atteso era l'esplicito apprezzamento del Consiglio per una Bce che si dotasse di un più ampio margine di intervento, una sinergia operativa tra Bce e Efsf (il fondo salva-Stati), una leva ampliata per gli interventi di quest'ultimo. Su questo terreno qualcosa c'è, ma se è un bazooka è davvero piccolo piccolo. C'è l'apprezzamento per la Bce che ha accettato di fungere da "agente" del fondo, c'è per lo stesso fondo la previsione di un capitale versato in misura pari al 15% dell'ammontare delle sue emissioni (con una leva quindi di oltre sei), ma tutto il resto è svanito. Sono svaniti gli eurobond dei quali, sia pure come promessa, parlava la bozza di conclusioni del Presidente Herman Van Rompuy. Ed è svanita la facoltà per il fondo, e poi per lo Esm (il Meccanismo di stabilità, che gli subentrerà nel 2012), di agire come ente creditizio, anch'essa prevista in quella bozza.

Non offre particolari motivi di ottimismo la ricognizione di questo armamentario. Eppure, se ora ci poniamo le domande finali- ce la farà l'euro a superare la crisi e dove sta andando l'Europa - qualche spiraglio di luce rimane. Io resto convinto che, se i titoli pubblici non sono abbandonati ai mercati, se la liquidità continua a circolare e non si essicca in nessuno dei nostri Stati membri, le politiche di risanamento ormai in atto negli Stati debitori stanno acquisendo una sufficiente credibilità. È caso mai sul terreno della crescita che i segnali sono troppo deboli e, prima che i mercati tornino all'allarme rosso perché la crescita la vedono sparire, sarà il caso di dedicare anche a questo crucialissimo tema la dovuta attenzione.
Quanto al "quo vadis Europa", un vecchio europeista può solo diffidare degli accordi intergovernativi al posto delle procedure comunitarie. Tuttavia, se quello ora deciso diventasse, come è possibile, un accordo a ventisei, che non diversamente dall'accordo di Schengen si trasforma da ultimo in diritto comunitario, magari con un "opting out" britannico, mi arrenderei a una conclusione non nuova. L'Europa avanza scegliendo quasi sempre la strada sbagliata, dopo avere accuratamente scartato quelle migliori. Ma, sia pure di traverso, avanza.

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