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Questo articolo è stato pubblicato il 23 dicembre 2011 alle ore 07:58.
L'ultima modifica è del 23 dicembre 2011 alle ore 07:21.

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È vero, la spesa pubblica italiana è composta in gran parte da pensioni, sanità, stipendi. Ma proprio per questo serve il coraggio di affrontare una riforma complessiva della spesa, che permetta di andare a incidere in modo non lineare sui grandi capitoli. Anche sulla sanità. Perché è evidente a tutti che imporre costi standard e servizi standard nelle regioni della malasanità significa tutt'altro che colpire i diritti fondamentali alla salute. Significa piuttosto rendere più efficace un servizio sanitario nazionale che già oggi è un fiore all'occhiello per come è gestito in alcune regioni.

Allo stesso modo non si possono considerare tabù inviolabili certe spese assistenziali o, in tutt'altra direzione, gli incentivi alle imprese. Che le pensioni di invalidità siano una (inefficace e inefficiente) forma di ammortizzatore sociale al Sud è fin troppo noto. Possibile che anche il governo dei professori non riesca a incidere su questo paradosso italiano?

Sugli incentivi alle imprese poi c'è una tale confusione che anche una semplice quantificazione appare impossibile. È un sistema cresciuto per accumulazione, di crisi in crisi, di congiuntura in congiuntura. Un Governo che ci mettesse le mani, spostando risorse sugli interventi davvero utili alla crescita e magari ritagliando anche uno spazio per qualche risparmio farebbe certamente un'operazione utile. A tutti. Alle imprese che vogliono innovare e stare sul mercato, facendo il proprio mestiere (e sono tante) prima di ogni altro.

Anche questi ulteriori sforzi, però, rischieranno di risultare inutili se le risorse liberate finiranno per essere assorbite nella spirale degli alti tassi di interesse. Ecco perché c'è forse un tabù che più di ogni altro va affrontato. Quello di una massiccia e immediata riduzione dello stock del debito pubblico.

In vent'anni di manovre correttive l'Italia ha bruciato centinaia di miliardi di euro. Il risultato è stato che il debito è rimasto ai suoi massimi (il 120 per cento del Pil) e il Paese si è progressivamente impoverito. Quel che è peggio, appena i tassi sono tornati a crescere l'Italia si è trovata di nuovo con le spalle al muro.

Non possiamo permetterci altri 20 anni così. Le proposte sul tappeto ci sono: dalla creazione di un fondo chiuso in cui convogliare il patrimonio dello Stato alla dismissione diretta degli asset pubblici, da una patrimoniale robusta con cui chiamare a contribuire l'alto risparmio privato degli italiani (che pesi sugli evasori però!) a forme più ingegnose di cartolarizzazione del debito pubblico italiano (è stata presentata su questo una proposta in Parlamento proprio in questi giorni). Tutte queste ipotesi hanno qualche pro e qualche contro. Sarebbe utile che le alte competenze di questo governo aprissero questi dossier. Il Sole nelle prossime settimane proverà a dare il suo contributo alla riflessione.

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