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Questo articolo è stato pubblicato il 06 gennaio 2012 alle ore 08:05.

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L'euro giù a 1,29 sul dollaro. Gli spread spagnoli, francesi e italiani rispettivamente su di 50, 17 e 3 punti da inizio anno. È nei numeri della moneta unica e dei tassi continentali il codice genetico della crisi che stiamo attraversando.

Una crisi dell'euro, prima che di questo o quello Stato sovrano. L'Europa è oggi un unico grande fragile vaso, fatto di tanti frammenti di coccio e di qualche tassello di ferro. Tra i primi c'è ancora certamente l'Italia. Ma come dimostrano gli andamenti degli spread, con i titoli francesi e spagnoli che hanno visto un allargamento superiore a quello dei BTp, in gioco è la tenuta di tutta l'architettura dell'euro. Perciò la missione europea di Mario Monti, iniziata ieri, non è meno importante delle nuove misure (importanti) che il governo si prepara a varare a Roma.
Enrico Perotti sul Financial Times ha paragonato l'attuale crisi al grande incendio che distrusse Londra nel 1666 partendo da una piccola fiamma. Perotti parla di banche e della necessità di rivedere rapidamente gli architravi continentali del sistema del credito. Ma quella piccola fiamma ricorda tanto la Grecia e la grande Londra che brucia somiglia all'euro oggi sotto attacco.

Cosa fecero le autorità cittadine - si chiede Perotti - per evitare che l'incendio si ripetesse? Costringere i singoli abitanti a mettere un secchio d'acqua in ogni abitazione oppure ricostruire la città sostituendo il legno con pietra e mattoni?
Scelsero la seconda. Scelta costosa. Ma il grande incendio non si ripetè. Allo stesso modo è dall'Europa che oggi deve venire la risposta alla crisi dell'euro. Non basta che ogni Paese si munisca della propria tanica d'acqua. Vanno riviste le fondamenta della città europea, anche se il costo dovesse essere alto in termini politici e in termini finanziari.
Intendiamoci. È fondamentale pretendere che ciascuno faccia i propri compiti a casa, che ciascuno Stato metta ordine nei propri conti e faccia il possibile per rendere competitiva la propria economia. Ma su questo - ed è la vera novità positiva di queste settimane - l'Italia comincia ad avere le carte in regola. La manovra è stata troppo sbilanciata sul lato delle entrate, ma certamente è stata strutturale.

E l'effetto lo si è prontamente visto sulla curva dei tassi: con il rendimento sui titoli a dieci anni che ha cominciato a muoversi in linea con gli analoghi rendimenti spagnoli e francesi (seppure a livelli ancora ben più alti) e soprattutto con i titoli a breve che hanno recuperato un rendimento normale dopo le punte anomale toccate prima della manovra.
Non c'è stato, certo, un restringimento duraturo e significativo dello spread sui Bund. Ma qui manca il dato controfattuale, come si ama ripetere in Banca d'Italia. Dove, cioè, saremmo potuti essere oggi senza la manovra?
Di certo quel dato ci dice che l'Italia deve continuare i suoi sforzi, che significano "crescita crescita crescita". Ma soprattutto ci dice che adesso più che mai, se si vuole un salto di qualità, serve l'Europa. Servono i mattoni e le pietre, non più solo le taniche d'acqua.

La nuova credibilità che oggi l'Italia ha conquistato le dà la possibilità di poter giocare un ruolo da protagonista in questa partita. È innanzitutto importante allora che in vista dell'approvazione definitiva del fiscal compact (Beda Romano ne anticipa l'ultima bozza a pagina 4) si evitino irrigidimenti e si facciano valere le preoccupazioni per la recessione: fuori dal calcolo del deficit i fattori ciclici come la mancata crescita, una franchigia per la spesa in investimenti, una reale considerazione per i fattori positivi - dal risparmio privato alla riforma delle pensioni ormai completata - che rendono il nostro debito sostenibile.
Ma ancora di più l'Italia può e deve dare il suo contributo per una nuova politica europea finalmente ad alto impatto. Non più mezze intese sempre insufficienti e sempre in ritardo rispetto alle aspettative del mercato. Ma finalmente una governance coerente e unitaria.

Una capacità di governo fondata (1) su un fondo - Efsf o Esm che sia - davvero potente e possente in termini numerici, tale da avere le munizioni sufficienti a impedire l'avvitamento degli Stati nella spirale degli alti rendimenti; e (2) su una banca centrale che possa agire senza limiti, una banca più che mai autonoma, ma che nella sua autonomia possa prendere tutte le decisioni per stabilizzare davvero i mercati finanziari, tutte, senza i limiti che oggi le sono imposti.
Ecco le pietre e i mattoni per la nuova Europa. Ecco il disegno di una città che non debba più temere le piccole fiamme che nascono qui e là. L'Italia che ha messo acqua nella sua tanica (e ancora dovrà farlo!) può davvero oggi dare una mano.

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