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Questo articolo è stato pubblicato il 13 gennaio 2012 alle ore 08:34.

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Una banca dinamica e proiettata sul futuro nel cuore finanziario della nuova Europa. È questa l'immagine che Cib Bank – nota fino al 2008 come Central-European International Bank – ha coltivato negli ultimi 15 anni. La sua stessa sede centrale, in un palazzo moderno tutto vetro e granito nella vecchia Buda, l'antica capitale ungherese, è stata scelta come simbolo della sua unicità e delle sue ambizioni.

Ma Il Sole 24 Ore ha saputo che dietro a quell'immagine di modernità e successo per anni si è nascosta una ben più fosca realtà. A farla venire alla luce è stata un'indagine voluta dal vertice di Intesa Sanpaolo, il gruppo italiano che controlla la banca ungherese, in seguito a un'inchiesta condotta dalle autorità statunitensi.

È così emersa una pericolosa inadempienza nei controlli di Cib che per anni ha di fatto concesso mano libera a una clientela popolata da trafficanti d'armi in affari con dittatori africani e organizzazioni criminali dell'Europa orientale. Tra questi figura una persona nella lista dei dieci uomini più ricercati d'America: Semion Mogilevich, altresì noto come Semon Yudkovich Palagnyuk, o semplicemente "Seva". È stato così confermato quello che era già emerso in un'indagine per traffico di armi che una decina di anni fa il pm di Monza Walter Mapelli – il magistrato che oggi sta investigando su Filippo Penati – fu costretto dalla Corte di Cassazione ad archiviare per mancanza di competenza territoriale.

«Trovammo evidenze che conti aperti presso la Cib riportavano transazioni che avevano facilitato vendite di prodotti militari e atti di corruzione da parte di trafficanti di armi in affari con la criminalità organizzata ucraina e con stragisti africani», dice Bruno Brugnoni, all'epoca consulente di Mapelli, che indagò sulla vicenda tra il 2000 e il 2002. «Nella nostra richiesta di informazioni alla banca ungherese spiegammo su che cosa stavamo indagando e le informazioni finanziarie che confermavano l'uso di tre conti Cib in traffici di armi furono loro stessi a fornirle. Quindi la banca non poteva non averne contezza».

Eppure il management della banca ungherese non intervenne in alcun modo. Né intervenne quello della banca-madre in Italia. Nonostante i ripetuti articoli nella stampa europea e italiana che denunciavano l'uso di conti Cib in transazioni finanziarie legate a riciclaggio di denaro, corruzione e traffico d'armi (vedi cronologia a fianco, ndr). Milano non intervenne neppure dopo il 18 marzo 2004, giorno in cui annunciò pubblicamente che, «in coerenza con i valori e i principi di eticità a cui si ispira, Banca Intesa ha deciso di sospendere la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano l'esportazione, l'importazione e transito di armi e di sistemi di arma».

Cib è stata finalmente costretta ad abbandonare quel genere di operatività soltanto dopo che la la Fed aveva riscontrato «carenze nella conformità alle normative statali e federali contro il riciclaggio di denaro» da parte della filiale newyorkese di Intesa San Paolo, che svolge attività di compensazione – o clearing – delle operazioni in valuta americana per tutte le banche del gruppo. «Intesa Sanpaolo, appena emersa evidenza della natura di taluni rapporti segnalati nell'ambito di un'indagine interna condotta con il supporto di consulenti esterni, ha proceduto immediatamente sin dal 2007 alla chiusura di tutti i rapporti in questione procedendo inoltre all'adozione di controlli rafforzati sui bonifici in entrata e uscita della controllata ungherese Cib, ancorché i pagamenti fossero legittimi per la normativa locale.

Le operazioni in questione peraltro erano state sistematicamente segnalate nel tempo alle autorità ungheresi», spiega l'ingegner Giovanni Boccolini, responsabile della divisione banche estere del gruppo, il quale ha sottolineato anche il fatto che il gruppo Intesa ha assunto il controllo della banca ungherese nel 1999.

Il 2 marzo 2007 i vertici di Intesa Sanpaolo hanno siglato un "accordo scritto" con le autorità americane con il quale si impegnavano a «rafforzare i controlli interni» e a «nominare un consulente indipendente approvato dall'autorità di vigilanza con il compito di... verificare se attività sospette sono state appropriatamente identificate e segnalate». Intesa Sanpaolo ha scelto Promontory, società di consulenza legale e amministrativa di base a Washington, alla quale ha affidato il compito di passare al setaccio tutte le transazioni in valuta americana portate a termini da banche affiliate al gruppo nei primi sei mesi del 2006.

Gli investigatori di Promontory hanno messo in luce l'anomalo rapporto tra la banca ungherese e svariati trafficanti di armi, rapporto poi confermato anche dai legali di Davis Polk & Wardell, studio legale newyorkese che Intesa ha ingaggiato per esaminare più a fondo la questione. «Nella sua attività di due diligence Promontory ha... visitato il quartier generale di Cib.... Le discussioni si sono concentrate sulle attività riguardanti conti bancari di clienti non-residenti ed entità che manifestavano caratteristiche di società di facciata. Svariati clienti... sono risultati essere società di facciata che conducevano affari con entità non conosciute a Cib apparentemente coinvolte con il settore militare... Nel 2008 Cib ha avviato un programma di revisione di tali conti (approssimativamente 5.500) e ne ha chiusi circa il 50%», si legge in una bozza del rapporto finale di Promontory datata 31 luglio 2009 di cui Il Sole 24 Ore ha ottenuto copia. Promontory quantifica il valore del business di questa clientela: quel taglio del 50%, era infatti risultato «in una riduzione di 500 milioni di dollari in depositi e 50 milioni in reddito».

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