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Questo articolo è stato pubblicato il 24 gennaio 2012 alle ore 07:52.

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La somma non convince. I conti del "3+2" – la riforma dell'offerta universitaria italiana varata nel 2000 dal ministro Luigi Berlinguer – sembrano non tornare. Peggio, paiono un boomerang. Perché su alcuni degli obiettivi, complici più fattori, siamo quasi al punto di partenza. Per esempio l'aumento degli immatricolati: l'idea di allargare la base sociale dei laureati, che nell'ultimo decennio ha ottenuto una spinta significativa proprio dal nuovo ordinamento, sta ora rivelando un brusco calo. È uno degli aspetti più significativi che emergono dal Rapporto della Fondazione Giovanni Agnelli, «un bilancio critico» dodici anni dopo la riforma, primo report che prova a fornire un quadro dell'offerta formativa universitaria nel nostro Paese, comunque fanalino di coda sullo scacchiere internazionale nell'istruzione "terziaria". È un focus sul rapporto tra mercato del lavoro e riforma del "3+2", non toccato dalla legge Gelmini del 2010, con le norme concentrate su aspetti diversi, come la governance degli atenei, i meccanismi di reclutamento di docenti e ricercatori, e la valutazione di ricerca e didattica.

Dunque, il trend di crescita delle immatricolazioni – dovuto anche all'effetto novità, alle "trasmigrazioni" di studenti del vecchio ordinamento o a convenzioni con categorie professionali – ha subìto una involuzione. Dall'anno accademico 2008-2009 gli iscritti per la prima volta al sistema universitario sono scesi sotto i 300mila, numero basso e poco confortante se paragonato ai 330mila dei primi anni Duemila o al picco dei 370mila degli anni Novanta. Al netto delle tendenze demografiche, il rapporto tra 19enni e immatricolati era 45% nel 2000, è salito a 56% nel 2003 per scendere a 47% nel 2009.

Perché? «Il fenomeno è complesso – spiega l'economista Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli –. C'è meno appeal nel sistema universitario anche perché ormai il valore delle retribuzioni con i semplici diplomati si è molto assottigliato. In molte famiglie si pensa: perché faticare (e spendere) di più se poi arrivo a guadagnare quasi lo stesso di chi cerca lavoro subito dopo l'esame di maturità?». In buona sostanza: per i laureati con il "3+2" c'è stata maggiore occupazione, ma più "precaria" rispetto ai vecchi laureati e con un minor vantaggio salariale. «Eppure prendere la laurea conviene ancora – incalza Gavosto –: l'investimento si valuta sull'arco dell'intera vita professionale. Il vantaggio dei laureati crescerà. E il ritardo italiano in capitale umano è ancora così grande che non c'è rischio di overdeucation». Va aggiunto, però, che le imprese hanno "difficoltà" a distinguere tra i diversi tipi di laurea: «Triennale o specialistica poco importa ai fini dell'assunzione per molte aziende – precisa Gavosto –; contano di più, per intenderci, la conoscenza dell'inglese e la capacità di lavorare in team».

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