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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2012 alle ore 14:18.

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A una prima lettura, i cultori del principio di maggioranza avevano esultato, ravvisando nell'art.14 l'agognato inveramento del loro sogno, vale a dire un trattato europeo approvato a maggioranza, che vincola anche chi non lo ha ratificato. No, in Europa dobbiamo prima deciderlo all'unanimità che varrà la maggioranza. Qui non è stato così, e quindi il significato dell'art.14 non può che essere un altro. Esso vuol dire che l'accordo entrerà in vigore tra i primi dodici Stati dell'eurozona che lo avranno ratificato, con l'effetto che i ritardatari, anziché tenere in sospeso tutti quanti, resteranno loro sul bagnasciuga.

Non è il principio maggioritario, ma per certi versi ancora più di esso può consentire ai governi dell'eurozona che hanno firmato di vincere le resistenze alla ratifica, eventualmente insorte nei loro Paesi. Una volta entrato in vigore l'accordo, è infatti evidente che i mercati guarderanno con minor favore gli Stati che ancora non hanno ratificato o che addirittura manifestano l'intenzione di non farlo. Se si tratta di Stati debitori, salirà lo spread sui loro titoli e il loro accesso al fondo salva Stati sarà come minimo postergato. Quanto potranno o vorranno resistere?

Può darsi che non possano resistere molto. Certo si è che, in ragione del Fiscal Compact, noi ci troviamo davanti un'Unione europea divisa non in due, ma addirittura in tre gironi: Stati dell'euro legati dalla nuova integrazione fiscale, Stati dell'euro sia pure temporaneamente sottratti a tale integrazione, Stati non euro che in comune con gli altri hanno i vaghi impegni preesistenti sulla politica economica comune e, soprattutto, la vera sostanza del mercato unico. Ed è qui che arriva la domanda da cui siamo partiti: può sopravvivere un'Europa del genere?

Gli europeisti sinceri pensano che l'Europa sia in salute solo se procede verso una crescente integrazione. Per questo non hanno mai avuto nulla in contrario alle "avanguardie", che osano per prime passi avanti in cui gli altri finiranno per seguirle, mentre hanno sempre diffidato dell'Europa concepita e strutturata sulle due, o ancor peggio, sulle tre velocità. E invece sembra proprio questo ciò che abbiamo davanti.

Intanto, avere sul bagnasciuga un pezzo di eurozona è sopportabile solo per un brevissimo tempo, perché se dura a lungo, danneggia non solo chi è sul bagnasciuga, ma tutta l'eurozona. Parliamoci chiaro: l'euro è un cordone che lega tutti gli Stati dell'eurozona, abbiano o non abbiano ratificato il Fiscal Compact. In caso di turbolenza che colpisse chi non ha ratificato, gli diamo comunque una mano prima che affoghi o lo lasciamo in balia delle onde? Qual è il pensiero retrostante? C'è voglia di avere ovunque più disciplina fiscale, o c'è speranza di dar vita a un'eurozona più piccola? O ci sono magari entrambe e que serà serà?

C'è poi la divisione che già Joschka Fischer aveva messo a fuoco la scorsa estate, quella fra un'eurozona fiscalmente integrata che copre il centro e il sud dell'Unione e un'area di sola integrazione di mercato, che ha per capofila la Gran Bretagna, affiancata da Svezia e Danimarca. Quanto a lungo potranno convivere, specie se l'integrazione fiscale dovesse portare con sé, come prima o poi si renderà inevitabile, una maggiore integrazione politica? A quel punto la distanza non finirà per essere incolmabile?

C'è chi lo pensa, ma c'è chi pensa invece che la moneta e l'economia non sono l'unico asse attorno a cui si plasmeranno, e si differenzieranno, i rapporti interni all'Unione. Ci sono le politiche dell'immigrazione, che potranno divenire sempre più integrate nella cornice di Schengen, con la Gran Bretagna ancora fuori, ma con la Danimarca e la Svezia dentro. E c'è, in tempi di bilanci sempre più avari, la prospettiva della Difesa comune, che di sicuro includerà la Gran Bretagna, ma non diversi Paesi dell'Eurozona.

Insomma, dividersi in più comunità integrate, a condizione che un pur ristretto gruppo di Paesi partecipi a tutte, può salvare l'Unione europea. È un inquietante, ma anche affascinante futuro che è già cominciato. Contribuiamo a plasmarlo, è anche il nostro futuro.

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