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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2012 alle ore 08:00.

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Abbiamo appena arginato, grazie al Governo tecnico, danni ingenti e sembra venuto il momento di provare a tirar fuori il Paese da un declino relativo in cui è caduto nel precedente decennio e, di conseguenza, tentare una colorazione del nostro futuro, economico e culturale. Il Manifesto su cultura e sviluppo del Sole 24 Ore sembra proprio meritoriamente rivolto a questo, al rafforzamento dei potenziali nessi tra cultura e sviluppo socioeconomico. Eppure, nell'opinione (non solo) comune, si è pensato che la cultura potesse solo marginalmente attivare mercato ed economia e, d'altro canto, che l'economia potesse produrre solo una cultura di terza categoria, non certo quella denotata d'autorevole maiuscola. "Economia della cultura" suonava all'incirca un ossimoro.

Anche Benedetto Croce, intriso di cultura liberale, non credeva che il liberismo fosse anche una cultura, se non un modo di fare economia. Era convinto che esprimesse solo principi e regole pragmatiche di mercato: la cultura da un lato e l'economia dall'altro. Poi tutti noi sappiamo, rivisitando la storia della Penisola, che, ormai più di mezzo millennio addietro, il nostro Rinascimento non fu solo politico ed economico, ma straordinariamente culturale. I signori a capo dei nostri piccoli stati non si occupavano solo di politica per favorire l'economia, ma anche dei beni comuni e dello splendore culturale della città. Sulle orme di due giganti della soggettività individuale moderna, Hegel e Freud, oggi riteniamo la cultura all'incirca un sinonimo di civilizzazione.

Raramente, facciamo mente locale che, come tale, essa già oggi costituisce il primo complesso di attività economiche per incidenza sul Pil e sull'occupazione nazionali. Infatti, un numero sempre maggiore di attività mette in moto un'economia embedded nella cultura. Si pensi alle attività di comunicazione, d'istruzione e formazione, artistico-culturali, di design e dei saperi cognitivi, professionali, relazionali, in sintesi, l'industria culturale e tecnologica, con un piede nella staffa del welfare e della qualità della vita e l'altro nella staffa dell'economia e del mercato.
Cultura ed economia mantengono tradizionali "urti", ma le opportunità di "conversazione", di collusione più che di collisione, sono straordinariamente aumentate.

La cultura è entrata nell'economia non solo grazie a processi di differenziazione e di innovazione, ma, a maggior ragione, anche attraverso la catena virtuosa "capitale umano, tecnologia, produttività, crescita", ampiamente verificata nelle sue correlazioni positive. La crescita dipende dai mezzi che mettiamo in campo e, soprattutto, dall'imprenditorialità e dalle professionalità mobilitate, dal software culturale, cognitivo, tecnologico, emotivo che le alimenta. Questo è anche il rapporto culturale primordiale che lega l'economia alle abilità degli individui e alla loro capacità di trasformarle in risorse.

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