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Questo articolo è stato pubblicato il 01 aprile 2012 alle ore 14:53.

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L'intransigenza della Germania sul rigore fiscale e sulla propria indisponibilità a favorire un riequilibrio nelle bilance dei pagamenti attraverso un ridimensionamento del gigantesco surplus tedesco, è bene sintetizzata da una recente battuta del presidente della Bundesbank Jens Weidmann. In un discorso alla Chatham House a Londra, Weidmann ha affermato che pretendere che la Germania rinunci alla sua forza commerciale per bilanciare i deficit degli altri Paesi dell'Eurozona sarebbe come pretendere di chiedere al Barcellona di non schierare in campo Messi dando alle altre squadre di calcio del continente, incluso il Bayern Monaco, più possibilità di vittoria.
Per Weidmann gli ultimi anni hanno visto troppi Paesi esagerare con il debito privato e pubblico per finanziare una crescita non sostenibile e non fondata sulla competitività.

L'unica strada possibile per uscire dalla crisi epocale che stiamo vivendo, nella visione tedesca, passa attraverso il rigore, le riforme strutturali e la competitività. La dinamica del Pil tedesco sembra dare pienamente ragione alla Germania. Secondo Berlino è sbagliato prendere a modello Paesi come il Giappone, gli Stati Uniti o la Gran Bretagna che cercano di compensare il deleveraging privato con il quantitative easing e altri interventi a sostegno dell'economia finanziati in deficit dal settore pubblico. Implicitamente vi è una critica anche alla Bce e al Ltro (Long term refinancing operation) voluto da Mario Draghi.

Cifre alla mano, tra il 2007 e il 2011 il valore aggiunto tedesco a prezzi concatenati 2005 è aumentato di 52 miliardi di euro, quello italiano è diminuito di 56 miliardi. Tra Berlino e Roma in soli quattro anni si è dunque aperto un divario economico di 108 miliardi di euro in termini reali. Ma vi sono due aspetti da chiarire. Il primo è che, pur con tutte le sue colpe, l'Italia oggi non può essere messa sullo stesso piano degli altri Paesi dell'Eurozona più vulnerabili. Prima della grande crisi iniziata nel 2008 l'Italia non aveva affatto abusato né del debito privato, come invece avevano fatto Spagna e Irlanda (e anche Usa e Uk), né di quello pubblico come è avvenuto in Grecia e Portogallo. Il nostro debito privato in rapporto al Pil è attualmente inferiore a quello della stessa Germania. Prima del 2008 il nostro debito pubblico era rimasto per anni stabile in rapporto al Pil e anche durante la crisi l'Italia ha tenuto un comportamento fermo nei conti statali (e oggi abbiamo un saldo primario migliore di quello della stessa Germania).

Seconda questione da chiarire: perché il Pil tedesco negli ultimi quattro anni è cresciuto mentre quello italiano è molto calato? Condizione forzata di austerità? Un divario di competitività? Generalmente si pensa che l'industria tedesca stia diventando sempre più forte mentre la nostra è giudicata in crisi irreversibile da tempo. Ma non è affatto così. I dati Eurostat indicano che rispetto ai massimi del 2007 il valore aggiunto tedesco del manifatturiero nel 2011 era ancora sotto in termini reali di ben 46 miliardi (l'Italia di 33). E che la domanda estera netta tedesca lo scorso anno risultava ancora inferiore di 16 miliardi a quella del 2007 (quella italiana è peggiorata solo di 3 miliardi). Con che cosa è cresciuta dunque la Germania se non attraverso l'industria e l'export netto? Può apparire sorprendente, ma dal lato della domanda la voce aumentata di più in valore assoluto in Germania è stata la spesa pubblica (+42 miliardi in quattro anni, mentre in Italia siamo diminuiti di 400 milioni). Dal lato della generazione del valore aggiunto il settore della pubblica amministrazione tedesco è cresciuto in volume di 27 miliardi (il nostro di 1 miliardo); il settore tedesco delle costruzioni e dell'immobiliare (inclusi i lavori pubblici) è aumentato di 12 miliardi (quello italiano è crollato di 14 miliardi). In parallelo, dal 2007 al 2011 in Germania gli occupati nella Pa (che per di più hanno appena ottenuto un forte aumento della retribuzione), nella difesa, nell'istruzione e nella sanità sono aumentati di 477mila unità (in Italia si sono ridotti di 66mila).

L'Europa non tedesca (Italia inclusa) deve certamente recuperare competitività e ripristinare un ragionevole equilibrio nei conti pubblici. A ciò servono, nelle giuste dosi e possibilmente senza uccidere economia, riforme e rigore. Ma se la Germania ha potuto correre in questi anni non è perché la sua industria si è dimostrata più competitiva o perché le precedenti riforme da essa varate abbiano fatto premio. La Germania ha potuto crescere di più soprattutto perché, paradossalmente, ha tratto grande vantaggio dalla crisi europea dei debiti sovrani. I bassi tassi di interesse in Germania che ne sono risultati di riflesso hanno favorito gli investimenti e permesso allo Stato tedesco di spendere direttamente e di sostenere i consumi privati senza peggiorare il rapporto debito/Pil.
L'insegnamento che se ne trae è che, in questi tempi di magra crescita per tutti, ciò che manca maggiormente all'Italia (e a gran parte dell'Eurozona) è la possibilità di spendere e investire di più: manca quella politica keynesiana che la Germania ha silenziosamente applicato su se stessa ma che rifiuta di estendere al resto d'Europa con un eccesso di rigore fiscale e con il suo netto ostruzionismo sugli eurobond. Questi ultimi sarebbero utilissimi per finanziare sviluppo e investimenti infrastrutturali in Europa ma la Germania, che è in netto conflitto di interessi con i suoi partner, li teme perché potrebbero diventare i più temibili concorrenti dei Bund stessi.

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