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Questo articolo è stato pubblicato il 10 aprile 2012 alle ore 08:08.
L'ultima modifica è del 10 aprile 2012 alle ore 09:50.

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Lo stanziamento da parte del Cipe di oltre 70 milioni di euro per la valorizzazione dei beni culturali, deliberato in questi giorni, è un segnale davvero importante di inversione di tendenza rispetto alla paralisi e al degrado delle politiche per il settore registrato fino a oggi. Questo intervento destinato a poli culturali come Brera e aree archeologiche di straordinaria importanza quali Pompei va sicuramente nella direzione giusta per affermare il ruolo del patrimonio culturale e della cultura quale fattore essenziale di un diverso modello di sviluppo. Proprio a fronte di questa apertura nel quadro complessivo di rilancio delle nostre ricchezze culturali, è necessario che ora l'attenzione del Governo sia rivolta anche al contemporaneo e alle sue eccellenze.

Riteniamo, infatti, che per lo sviluppo l'Italia debba ritrovare la sua contemporaneità. A conclusione delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sottolineato con grande chiarezza l'impulso della cultura e dell'educazione per la costruzione della Nazione, ma anche il ruolo che il Paese è chiamato a svolgere «in una fase critica e insieme ricca di promesse, di evoluzione della civiltà europea e mondiale». Un forte richiamo, dunque, a rinnovare lo sforzo verso l'innovazione nel campo umanistico, scientifico e artistico anche come leva per lo sviluppo economico.

Se fin dai tempi di Dante l'unità nazionale è stata figlia della lingua e della poesia oggi è anche attraverso i nuovi linguaggi dell'arte e della cultura contemporanea che il Paese si ripropone nello scenario internazionale. La Biennale di Venezia, la Triennale d'Arte di Milano e, da poco più di due anni, il MAXXI di Roma, sono il fiore all'occhiello dell'immagine del Paese e centri di produzione straordinari dal cinema al design, dalle arti visive all'architettura e alla danza. Luoghi d'incontro delle espressioni artistiche e dei linguaggi, laboratori di quell'innovazione che ha accompagnato e anticipato le evoluzioni della società, gli stili di vita, le avanguardie culturali, i fermenti sociali. Ma sono anche un volano dell'economia e motori di ricchezza per l'industria culturale e creativa, per l'indotto e l'occupazione generata nel territorio, pensiamo solo al recupero e alla valorizzazione di aree abbandonate e all'infinita filiera di attività economiche collegate. È difficile immaginare oggi cosa sarebbe l'Italia senza le sue grandi istituzioni culturali. E anche cosa sarebbe la Venezia dei Dogi senza la Biennale d'Arte (1895), la Milano degli affari senza la Triennale (1923) e la Roma delle chiese e del Colosseo senza il MAXXI (2009). Bene, tutto ciò è messo in discussione da norme sbagliate e gravi miopie.

Pochi sanno che la manovra finanziaria estiva del 2010 (legge 122/2010) ha imposto a tutti gli enti inclusi in un famigerato elenco Istat (centinaia di soggetti che producono cultura nel Paese, tra cui le istituzioni citate, la Quadriennale d'Arte di Roma e il Festival dei due mondi di Spoleto) un tetto di spesa per l'organizzazione di mostre, convegni, dibattiti culturali e pubblicità pari al 20% della spesa effettuata nel 2009. Viene così, non solo messa in discussione la loro autonomia di gestione e programmazione, ma impedito, di fatto, lo svolgimento della propria missione istituzionale. Inoltre, non è stata ancora modificata la disposizione che impone a enti e organismi pubblici, anche con personalità giuridica di diritto privato, di ridurre a cinque il numero dei componenti degli organi di amministrazione. Insomma, non si possono autorizzare spese indispensabili, anche se in bilancio, e i soggetti privati perderanno l'interesse a investire nel settore - sia in termini finanziari che di know how - per lo sbarramento che impedisce loro di partecipare direttamente alla vita delle istituzioni culturali. Altro che pubblico-privato.

Il MAXXI, inaugurato appena due anni fa, dopo un investimento statale di 150 milioni di euro, ha contribuito a rilanciare l'immagine di un'Italia creativa, ed è diventato uno dei simboli del rinnovamento culturale della città di Roma e del Paese. Oggi la Fondazione - che ha raggiunto circa il 50% di autofinanziamento e ha registrato, fino a dicembre 2011, 745mila visitatori - attende che il ministero riconfermi l'indispensabile sostegno economico per proseguire e sviluppare un progetto artistico e culturale di grande rinnovamento per il nostro Paese. Per essere, insieme ai nostri grandi musei, una vetrina dell'Italia ma anche un ponte che ci proietta verso il futuro.

Non potranno mancare dal nuovo Governo, risposte a queste gravi questioni aperte per dare un segnale concreto e decisivo sulla centralità della cultura, della diffusione delle conoscenze e del contemporaneo.

Roberto Grossi è presidente di Federculture e vicepresidente del MAXXI di Roma
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