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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 07:22.

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Un'alternativa meno ambiziosa - ma comunque ambiziosa - sarebbe quella di un'unione dei trasferimenti, con cui intendo un sistema di trasferimenti permanenti dagli Stati membri più ricchi agli Stati membri più poveri, come è normale all'interno di uno stesso Paese. Questo scenario di certo non è politicamente fattibile.

E soprattutto non è né necessario né auspicabile dal punto di vista economico: non è necessario che i Paesi più poveri restino costantemente in una situazione di disavanzo delle partite correnti, se i salari rimangono in linea con la produttività (come aveva cessato di essere per numerosi Paesi durante il boom ante-crisi); non è auspicabile che un Paese riceva costantemente forti trasferimenti netti, perché in questo caso l'arretratezza diventa ineliminabile.
Se le misure attuali sembrano avere scarse probabilità di funzionare e un'unione federale o un'unione dei trasferimenti sono da escludere per ragioni di impraticabilità politica o economica, che cosa rimane? Io suggerisco la combinazione di due idee: l'"unione delle garanzie" e l'"unione degli aggiustamenti": con "unione delle garanzie" intendo un'unione che fornisca supporto temporaneo e mirato per quei Paesi colpiti da gravi crisi; con "unione degli aggiustamenti" intendo un'unione che garantisca adeguamenti simmetrici al variare delle circostanze, incluse variazioni dei finanziamenti.

Sono tutte e due necessarie e insieme dovrebbero bastare a garantire un'unione praticabile sul lungo periodo. Non sarebbero state necessarie se i membri originari dell'unione monetaria fossero stati molto più simili di quanto non siano: in quel caso l'unione minimale avrebbe funzionato. Ma non è questa la situazione esistente: se l'Eurozona vuole sopravvivere con la sua attuale configurazione ha bisogno di una combinazione di garanzie e aggiustamenti.
Prima della nascita dell'euro alcuni economisti pensavano che gli Stati membri avrebbero potuto usare le politiche di bilancio per assorbire gli effetti di crisi specifiche in un singolo Paese. Ora sappiamo che non funziona, anche quando (come è stato per Irlanda e Spagna) la vittima partiva da una situazione positiva dei conti pubblici. Afflussi ingenti di capitali e bolle dei prezzi sono più forti delle politiche di bilancio.

Gli Stati membri quindi non sono in grado di autogarantirsi nell'eventualità di crisi gravi. La garanzia dev'essere fornita collettivamente, sulla base del principio che tutti traggono beneficio dalla sopravvivenza dell'unione. Questa garanzia deve tenere in piedi il sistema finanziario e (se possibile) garantire la solvibilità degli Stati durante una crisi. Ma se si vuole che non si trasformi in un'elargizione senza fine bisogna imporre delle condizioni. Disegnare una garanzia che stabilizzi i sistemi finanziari e le finanze statali in una crisi è complicato, ma non impossibile. È ovvio che il sostegno dovrà essere più ampio e più automatico di quanto non sia adesso, senza per questo essere illimitato.

Ancora più importante della garanzia è l'aggiustamento. Gli Stati membri devono avere la possibilità di rimettersi in salute in un periodo di tempo ragionevole, se adotteranno politiche sensate. Se si vuole che gli Stati membri - in particolare quelli grandi - realizzino questi aggiustamenti saranno necessarie misure di aggiustamento complementari in altri Paesi. Più precisamente, il necessario ritorno all'equilibrio esterno e interno nei Paesi colpiti dalla crisi non può essere realizzato senza un incremento della spesa e dell'inflazione nei Paesi del nocciolo duro. La Banca centrale europea è incredibilmente passiva nella sua assenza di reazioni all'ennesima recessione. A meno di non pensare che l'economia mondiale in questo momento possa sostenere un netto passaggio dell'Eurozona nel suo complesso da una situazione di deficit a una situazione di surplus nel saldo con l'estero, il riequilibrio dovrà avvenire in gran parte all'interno dell'Eurozona stessa.

Se questo aggiustamento sarà bloccato da una domanda fiacca e da un'inflazione molto bassa nei Paesi del nocciolo duro, i Paesi più vulnerabili saranno imprigionati in una recessione semipermanente: una strada che è praticamente garanzia di fallimento.
Ci sono speranze che l'Eurozona faccia le riforme necessarie nel prossimo futuro? Non lo so. Forse ormai il tempo rimasto è troppo poco e l'irritazione troppo grande. Ma concettualmente quello che serve appare evidente: avanzare in modo rapido ed efficace verso un'unione delle garanzie e degli aggiustamenti. Non si tratta né di un'unione federale né di un'unione dei trasferimenti. È un modo per consentire a Paesi che conserverebbero buona parte della loro sovranità di condividere un'unica moneta. Non so se anche questo sarà economicamente e politicamente praticabile. Ma se non questo, cos'altro? E se non ora, quando?
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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