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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2012 alle ore 07:19.

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La crescita della nostra economia è da sempre legata al superamento dei confini e al moltiplicarsi di nuovi sbocchi per le nostre esportazioni.

L'export, ma anche tutti i processi di internazionalizzazione attiva (investimenti all'estero, joint venture, collaborazioni industriali e commerciali, attrazione di investimenti) rappresentano per il nostro Paese il vero volano della crescita economica di cui tanto si discute in queste settimane.
Fu il ministero degli Affari Esteri ad assicurare alla fine degli anni '50 la partecipazione dell'Italia al Mercato Comune nonostante le riserve e le perplessità di alcuni imprenditori preoccupati di dover affrontare la concorrenza francese e tedesca. La storia del nostro sviluppo ha dimostrato il contrario: confrontate con le nuove sfide, le aziende italiane, quasi sempre più piccole per dimensioni, si sono battute vantaggiosamente sui mercati europei prima, poi nel Mediterraneo e nei Balcani, e da ormai molti anni a livello globale. E la crescita delle esportazioni ha favorito il consolidamento e lo sviluppo dei singoli sistemi di impresa.

Non possiamo tuttavia ignorare che uno strumento essenziale per la penetrazione delle nostre aziende nei mercati esteri, l'Istituto nazionale per il Commercio Estero, è venuto meno un anno fa. Una decisione presa all'improvviso dal precedente Governo mise fine a un Istituto fondato nel 1926 da Alberto Pirelli per favorire le nostre esportazioni. Oltre 800 iniziative realizzate ogni 12 mesi dall'Ice scomparvero all'istante. Nessun Paese al mondo avrebbe mai pensato di sopprimere la propria Trade Promotion Organisation senza prevedere un'alternativa. Avremmo dovuto partecipare pochi mesi dopo, in qualità di Paese "ospite d'onore" alla più grande fiera dell'agroalimentare al mondo, l'Anuga di Düsseldorf, che avrebbe assicurato all'Italia una straordinaria visibilità e preminenza. Così come lo eravamo stati due anni prima alla Foodex di Tokyo e nel 2010 ad Hannover, al più importante salone al mondo per la meccanica, i trasporti e le energie rinnovabili. Non fummo in grado neppure di conservare gli spazi faticosamente ottenuti, allestirli e rispettare gli impegni presi.

Chi stava gongolando in quei giorni erano i nostri concorrenti esteri, interessati a occupare il vuoto lasciato dal nostro Istituto. Nel mondo globale l'Ice competeva con Ubifrance, l'Icex spagnolo, il Tdi inglese, il Jetro giapponese e cosi via. Ogni Paese, dopo l'intuizione anticipatrice di Alberto Pirelli, si era dotato di un Ente di promozione per assistere e accompagnare le proprie imprese all'estero. Ubifrance addirittura aveva ispirato la sua riforma, per volontà dell'allora ministro per il commercio estero Christine Lagarde, proprio all'Ice. E questo perché l'Ice - che pure disponeva di mezzi finanziari inferiori del 40% a quelli di Ubifrance e della metà delle sue risorse umane - aveva per primo introdotto nel ventaglio delle proprie attività alcune innovazioni quali "Italy for Sport" che univa e raggruppava tutte le aziende attive nel settore, dagli impianti e attrezzature sportive fino all'abbigliamento tecnico e alle macchine per l'allenamento. Allo stesso tempo nasceva un'altra imponente filiera, quella delle società italiane delle costruzioni.

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