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Questo articolo è stato pubblicato il 01 agosto 2012 alle ore 06:40.

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Gabriele Volpi è il super-ricco più sconosciuto d'Italia. Nonostante la copertina dedicatagli qualche tempo fa dal settimanale economico Il Mondo, che lo ha definito "il Roman Abramovic italiano".
Come l'oligarca russo proprietario del Chelsea, anche Volpi ha uno yacht da capogiro, il GiVi (dalle sue iniziali), una squadra di football, lo Spezia Calcio. E persino una di pallanuoto, la storica Pro Recco, insieme con i figli. Come Abramovic anche lui deve il suo patrimonio all'oro nero. E all'appoggio di chi stava al governo quando lo ha accumulato. Nel suo caso in un Paese con una classe politica ben più corrotta di quella russa, la Nigeria. Dove la sua azienda - Intels - ha praticamente il monopolio della logistica petrolifera. Con un giro d'affari di quasi 1,5 miliardi di dollari all'anno. Fino a un paio di anni fa, Volpi in Italia veniva solo a spendere. In vacanze, o in squadre sportive. Nessun investimento strategico. Ma adesso un trust di diritto inglese in cui Volpi ha conferito una bella fetta del suo patrimonio è proprietario di "Santa Benessere & Social", società con un ambizioso progetto di sviluppo del porto turistico di una delle perle della costa ligure, Santa Margherita.
Volpi è l'italiano più ricco d'Africa. O se si preferisce, essendo lui uno dei pochi europei ad avere ottenuto la cittadinanza locale, il nigeriano più facoltoso d'Italia. Ma finora nessuno ha mai ricostruito la sua storia e soprattutto i suoi rapporti economici. Il Sole 24 Ore è in grado di farlo, utilizzando una mole di documenti e testimonianze raccolte dal Permanent sub-committee on investigations, o Psi, la commissione permanente di inchiesta del Senato Usa che per oltre un anno ha investigato il fenomeno della corruzione della leadership politica nigeriana. Non siamo però purtroppo in grado di offrire sue risposte, smentite o commenti perché, nonostante le insistenti e ripetute richieste, il signor Volpi ha preferito non parlarci.
La sua attività in Nigeria inizia nella seconda metà degli anni 70. Poi, nel 1981 entra nel settore della logistica petrolifera, avvicinandosi - parole sue - «al mondo nigeriano e alle sue autorità». Nell'intervista al settimanale economico Il Mondo, ha spiegato di essersi "adoperato" per avere concessioni per svolgere attività di supporto alle perforazioni petrolifere offshore (a 3mila metri dalla costa). E di averle ottenute. Da qui il successo della sua Intels, che «è decollata in virtù di quell'intuizione fortunata. Oltre che, ovviamente, della nostra capacità di svilupparla».
Insomma intuizione, fortuna e capacità. Questi, a suo dire, i tre ingredienti del successo da lui ottenuto. Come nella più classica storia dell'uomo fattosi da sé. Il Sole 24 Ore ne aggiungerebbe però un quarto. Che ha un nome e un cognome: Atiku Abubakar. Parliamo dell'ex vicedirettore generale del servizio doganale nigeriano divenuto poi vice-presidente e uno degli uomini più ricchi e potenti del Paese.
La commissione d'inchiesta del Senato americano ha ricostruito la sua carriera: «Negli anni 80, Atiku Abubakar è entrato in società con Gabriele Volpi attraverso una società creata per fornire servizi di supporto portuale all'industria del petrolio e del gas. Il nome originale della società era Nigeria Container Services, o Nicotes (...). Il signor Volpi ha spiegato al Psi di aver costituito questa azienda di logistica petrolifera nei primi anni 80 e di aver invitato Abubakar a esserne consigliere e azionista nel 1989». Guarda caso, il 1989 è proprio l'anno in cui Abubakar aveva deciso di lasciare le dogane. Ma la biografia "ufficiale e autorizzata" dell'ex vicepresidente nigeriano offre una cronologia diversa e dice che ha costituito Nicotes tempo prima, quando era ancora dirigente delle dogane.
Nel 1999, una volta eletto alla vicepresidenza del Paese, Abubakar fa una mossa di grande valore etico: conferisce la sua partecipazione in Nicotes - che nel frattempo era stata ribattezzata Intels - a un blind trust. La commissione d'inchiesta Usa ha però appurato che anziché scegliere un trust indipendente, opta per una fiduciaria panamense, la Orlean Invest Holding, che lo stesso Volpi ha ammesso di controllare. Alcuni anni dopo, Orlean viene sostituita da un altro trust, Guernsey Trust Company, società di facciata nigeriana creata un giorno prima del conferimento dei beni di Abubakar. E chi è uno dei tre trustee di Guernsey? Che domande! Mister Volpi, naturalmente.
Nel corso degli ultimi tre decenni, con l'industria petrolifera nigeriana che letteralmente esplode, Intels si afferma come leader nei servizi di supporto logistico lavorando in regime di quasi monopolio con tutte le grandi multinazionali del greggio. Dalle americane Exxon/Mobil e Texaco, alle europee Total, Shell ed Eni. Per avere un'idea del suo giro d'affari basti sapere che in una deposizione al Psi, Exxon/Mobil ha dichiarato che solo tra il 2006 e il 2008 ha pagato a Intels oltre 245 milioni di dollari. Insomma, chi vuole gestire le enormi e ricchissime piattaforme offshore nigeriane non ha scelta: deve ricorrere a Intels per i suoi servizi.
In un Paese quale la Nigeria, difficile non avere il sospetto che quel regime di monopolio in un'attività di supporto all'estrazione di petrolio o gas non sia stato ideato da Abubakar come una sorta di pedaggio per le multinazionali. Sospetto genericamente fondato sulla reputazione dei politici nigeriani? No, perché Abubakar non sembra estraneo a quel gioco. In America la commissione d'inchiesta e la Security Exchange Commission, equivalente della nostra Consob, hanno appurato che «circa 2,8 milioni di dollari in tangenti pagate dalla multinazionale Siemens sono stati convogliati su un conto bancario in Maryland intestato a Jennifer Douglas», moglie di Abubakar. Più specificatamente lo Psi ha individuato tre bonifici fatti da Siemens nel 2001 e 2002 su un conto personale tenuto dalla signora Douglas presso la Citibank. Da parte sua, Siemens ha confermato di aver effettuato quei versamenti e di aver anche fatto pagamenti in contanti alla signora per oltre 2 milioni di dollari.

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