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Questo articolo è stato pubblicato il 23 agosto 2012 alle ore 06:50.
L'ultima modifica è del 23 agosto 2012 alle ore 08:38.

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Tre settimane di processo, 50 ore di dibattito in aula, una dozzina di testimoni: per nove giurati della causa di "violazione brevetto" che Apple ha intentato contro Samsung si traducono in 109 pagine di istruzioni da leggere e 84 istruzioni da seguire per decidere quali brevetti siano stati infranti e a danno di chi. Un compito improbo non solo per la giuria chiamata in queste ore a pronunciarsi sul processo del secolo in tema di tecnologie, ma anche per Lucy Koh, il giudice che di fronte a una richiesta di 75 pagine di obiezioni presentate ai legali di Apple ha sbottato con «Ma vi siete fatti di crack?». La domanda, al di là dei toni, è comprensibile. Queste guerre di "innovazione" tra giganti dell'elettronica di consumo sono materia da avvocati? Destreggiarsi tra prototipi, prodotti e relative regole di tutela del copyright non è mestiere neppure per industrial designer. Ha senso, si domanda il professore della Stanford Law School Mark Lemley, lasciare queste decisioni a una giuria "generalista"? Costringerli a distinguere tra ispirazione e copia, tra il ripasso a "carta carbone" e il remix creativo del giurista Lawrence Lessig?

Per i legali di Apple basterebbe tener conto della cronologia degli eventi e affidarsi al buon senso. Quando nel 2007 Steve Jobs ha svelato al mondo il primo iPhone, i telefonini avevano tastini di plastica e suonerie polifoniche. Apple non ha inventato gli schermi tattili che oggi sono lo standard degli smartphone ma ha stimolato il sistema delle apps, la trasformazione cioè del telefonino in una piattaforma di servizi. Pochi anni dopo la presentazione a San Francisco le vetrine degli smartphone hanno incominciato ad assomigliarsi un pò tutte: tavolette supersottili, senza tasti, animate da icone. Un pensiero unico da telefonino che si sta pericolosamente espandendo anche a quello dei computer. Il declino dei pc (in particolare quello dei computer da scrivania) - rilevato ogni trimestre da Gartner e preconizzato da Steve Jobs - a beneficio dei tablet è un gioco di specchi che sta costando caro a giganti come Dell che hanno puntato tutto su queste macchine. Sostituire il portatile con uno display tattile è un'operazione astuta di maquillage per un'industria dell'elettronica che da sempre ha il tic della convergenza e ora, complice la crisi, pare un po' troppo uniforme, monotona e con poco coraggio. Perlopiù concentrata in pochissime, potentissime mani. Da qui la battuta dell'avvocato di Samsung: «Non si può pretendere di avere il monopolio su una tavoletta dagli angoli arrotandati».

Ma a decidere sarano loro, gli otto giurati del tribunale di San Josè. Il loro verdetto, sostengono gli esperti, cambierà il volto degli smartphone dei prossimi dieci anni. Non tanto (e non solo) per l'ammontare astronomico chiesto da Apple per la violazione di sette brevetti: 2,5 miliardi di dollari, fanno 350 milioni circa per ogni "patent". Quanto per le ricadute che questa sentenza avrà su tutto il mercato. Ad esempio, c'è chi sostiene che a pagare il conto più salato sarà Google. Samsung è il più grande produttore al mondo di telefonini che montano come sistema operativo Android. Circa sette smartphone su dieci attualmente "girano" con l'androide, il resto è appannaggio della "mela". Se dovesse prevalere Apple, gli avvocati di Cupertino potrebbero portare in tribunale per violazione di brevetto tutti gli altri produttori che usano il sistema operativo di Mountain View. Un bel guaio per il motore di ricerca. In prospettiva la concorrenza sarà in qualche modo incentivati a cambiare quantomeno l'aspetto dei propri prodotti. Chi, scherzando, prevede una pioggia di telefonini quadrati o un ritorno in massa delle "conchiglie" (tanto amate in Oriente) sottovaluta la brama di denaro degli uffici legali delle multinazionali. Per non avere noie e ritrovarsi alla porta gli avvocati di Cupertino piccoli e grandi produttori di elettronica di consumo saranno costretti a inventarsi qualche cosa di nuovo. Il che in teoria è un bene ma cosa ne sarà dell'antica pratica dell'innovazione incrementale? Della possibilità che qualcuno possa costruire e migliorare l'esistente?

Paradossalmente, l'affermazione delle tesi di Samsung potrebbe condurre allo stesso risultato. Dietro a Cupertino l'ecosistema dei costruttori di gadget elettronici si aprirebbe a nuovi produttori di cloni-low-cost "ispirati" dagli ingegneri di Apple. Tra questi per la legge dei grandi numeri potrebbe anche nascere un nuovo Steve Jobs. Nessuno potrebbe escluderlo.
Con ogni probabilità però, la sentenza sarà "mista", più smussata negli angoli, anche nelle richieste di danni. Samsung dovrà bloccare le vendite e pagare qualche royalty in più. La sentenza comunque non servirà a ridimensionare lo strapotere degli uffici legali. Considerati, a torto o a ragione, i veri nemici dell'innovazioni. Chi andrebbe processato, disse in tempi non sospetti Eric Schmidt, l'allora presidente esecutivo di Google, è l'attuale sistema (ultracentenario) dei brevetti. La soluzione? Per Schmidt un'ipotesi era rendere i brevetti pubblici in modo che chiunque potesse verificare se l'invenzione era davvero originale. Avrebbe significato togliere a pochi e potentissimi laboratori che si possono permettere parcelle milionarie il monopolio del brevetto. La proposta fu accolta dal mercato come una provocazione. E tale è rimasta.

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