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Questo articolo è stato pubblicato il 24 settembre 2012 alle ore 08:40.
L'ultima modifica è del 24 settembre 2012 alle ore 08:49.

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Agli inizi del 900 il ruolo dello Stato nell'economia era molto limitato e concentrato su funzioni fondamentali quali la difesa, la giustizia, la protezione degli individui, le opere pubbliche. La spesa era ridotta e di conseguenza il prelievo fiscale si attestava intorno al 12% del Pil, che comunque veniva considerato «esorbitante».

Gli eventi degli anni successivi – le grandi guerre, la grande depressione, l'avvento dei regimi totalitari – crearono una situazione sociale particolare e il ruolo dello Stato nell'economia diventò sempre più dominante, con una rilevante crescita della spesa pubblica finanziata da un sempre maggiore prelievo fiscale.

Ci si chiede spesso se la grande crescita della spesa pubblica degli ultimi anni abbia contribuito all'incremento del benessere sociale ed economico della maggioranza dei cittadini. Indicatori quali il tasso di mortalità, il livello educativo, il reddito pro-capite eccetera non hanno mostrato, finora, valori significativamente migliori rispetto a quei Paesi in cui la presenza del settore pubblico è più modesta (ma più efficiente) e dove lo Stato spende molto meno per i servizi.

Livelli elevati di spesa pubblica, finanziati con alti livelli di tassazione, riducono il reddito a disposizione dei cittadini-contribuenti, limitando così la loro libertà economica con conseguenze negative, nel lungo periodo, sulla crescita economica del Paese e quindi del benessere collettivo.

Ci sono studi di storia economica in cui si dimostra che, quando la spesa pubblica di uno Stato supera il 40% del Pil, l'economia di quel Paese smette di crescere. Valga l'esempio dell'Italia, dove – con un debito pubblico superiore al 50% del Pil da molti anni – si è realizzata, in periodi non recessivi come l'attuale, una crescita raramente superiore all'1 per cento.

Una tassazione reale sui redditi che supera il 55% non può essere accettata dai contribuenti-cittadini. Il fatto è che per parlare seriamente di "riduzione del prelievo" non si può evitare di affrontare il nodo della spesa pubblica. L'attuale crisi economica e l'elevato debito pubblico evidenziano la necessità di limitare l'intervento dello Stato nel l'economia, dando più spazio ai mercati, fermo restando efficaci controlli sul rispetto degli indirizzi e sul rispetto delle regole. In sostanza, in una società dove il mercato è abbastanza sviluppato e capace di ben eseguire le funzioni importanti di interesse generale, lo Stato dovrà prendere l'iniziativa e correggere gli errori al fine di rendere il mercato stesso più efficiente e competitivo.

È indubbio che lo sviluppo del mercato dovrebbe condurre a una riduzione della spesa pubblica. È opinione diffusa tra gli economisti che in un'economia "globalizzata" lo Stato dovrebbe essere poco impegnato nella produzione di beni e servizi che possono essere svolti più efficacemente dal settore privato. In molte attività private, però, lo Stato dovrebbe non permettere la formazione di monopoli e quindi il ruolo principale dovrebbe essere quello di regolatore e di promotore di quanta più concorrenza possibile.

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