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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 07:42.

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Le Fs di Mauro Moretti provano a costruire, in collaborazione con Ambrosetti, una strategia europea sostenibile in risposta a quelle domande sul mercato ferroviario che presto saranno poste dall'Unione europea con l'imminente recast dei tre pacchetti ferroviari e dall'Autorità dei trasporti (ammesso che decolli mai davvero) quando dovrà affrontare i dossier dell'unbundling (separazione verticale rete-trasporto) e delle gare per il trasporto ferroviario regionale. Ma nel rapporto «Il contributo del trasporto ferroviario nella strategia di crescita in Italia e in Europa», realizzato da Ambrosetti in collaborazione (e su commessa) delle Fs, c'è anche - per dirla con le parole di Lanfranco Senn (Bocconi) che dell'advisory board è la punta scientifica avanzata - «il tentativo ambizioso di definire cosa vuol dire oggi fare impresa ferroviaria in Europa e in Italia, fornendo in modo efficiente un servizio redditivo». Dove «redditivo» è parola chiave almeno quanto «efficiente» nella selezione delle cose da fare: una ferrovia ridisegnata passando dalla vecchia macchina assistita di un tempo a un sistema capace di produrre crescita sana, a base di profitti, in un contesto concorrenziale di regole chiaro, trasparente e paritario con altri operatori, italiani ed europei. Un auspicio che corrisponde al percorso di risanamento in atto, ma pone al tempo stesso paletti e condizioni per evitare che la liberalizzazione diventi esercizio astratto.

Poco importa, in fondo, che le conclusioni del rapporto Ambrosetti-Fs non lascino spazio a sorprese rispetto alla tradizionale posizione Fs sui due punti di attualità più scottante: che «non c'è evidenza scientifica di una scelta favorevole all'unbundling» e che le gare regionali sono «uno strumento efficace per promuovere la competizione ed aprire il mercato, a condizione che si operi in un contesto di certezza regolamentare e finanziaria in cui la sostenibilità di lungo periodo sia garantita da un adeguato bilanciamento fra servizi richiesti e risorse disponibili». Bene le gare, ma con risorse finanziarie certe, pagamenti puntuali e regole chiare per tutti: una conclusione che può essere condivisa anche dai concorrenti.
Quanto all'unbundling, Senn sintetizza così: ««Tutti abbiamo teorizzato che spingere avanti il modello della governance avrebbe portato benefici ma, se ragioniamo fuori delle ideologie, non abbiamo evidenza definitiva a oggi né in ternmini di efficenza né di efficacia, cioè di abbattimento di costi per il consumatore finale, dei risultati che potrebbe portare. In Italia abbiamo un livello di concorrenza ancora troppo basso e di difficilissimo sviluppo, non è detto che una forzatura sulla separazione verticale si produrrebbe a vantaggio del consumatore.

Forse è meglio una buona dose di pragmatismo che consenta aggiustamenti nel tempo, affidando poteri forti all'Autorità, tali da garantire, a tutela dei newcomers, una tariffa di accesso paritaria e trasparenza delle altre condizioni di accesso».
Sul ruolo e sui poteri dell'Autorià, per esempio, le conclusioni del lavoro non si sovrappongono totalmente alla posizione tradizionale di Fs. «L'Autorità - spiega Senn - è in una posizione scomoda perché la trasparenza dei conti non basta per individuare i costi medi e marginali di un treno e per essere un buon regolatore. Mi auguro che l'Autorità sia effettivamente messa in grado di operare, con un personale di grande competenza perché sento troppi discorsi sull'obiettivo, che non può essere né unico né prioritario, di contenere i costi di funzionamento. Se l'operazione si risolve con il trasferimento dell'attuale ufficio di regolazione che ha sede al ministero, non ci siamo proprio». Poi, alla domanda se l'Autorità debba fare policy, la differenza rispetto al Moretti-pensiero si fa più marcata. «Certamente - risponde Senn - l'Autorità deve fare policy, sia pure nell'ottica della regolazione.

Se qualcuno ha in mente che l'Autorità debba svolgere solo l'attività burocratica di mero controllo delle tariffe, vuole svuotarla. Non deve certo fare la politica di strategia dei trasporti (dove investire, che peso dare al Tpl, + spazio al mare o agli aerei) che spetta alla politica, ma nel fare tariffazione deve garantire forme reali e non formali di concorrenza».
Il confronto dei modelli nazionali europei posti alla base dello studio aiuta a capire meglio la direzione in cui andare, ma anche il bluff di Paesi come Germania, Francia e Spagna nell'apertura dei loro mercati ferroviari interni. «L'Europa deve convergere verso una forma di regolazione unica, che può avvenire prima con una sindacation delle attuali Autorità nazionali, poi con una vera Autorità europea. Non so quanti paesi possano aderire a questa posizione di effettivo rafforzamento della regolazione europea, ma quello che non possiamo più tollerare sono le asimmetrie rispetto ad altri paesi, come Francia e Germania, che pontificano sul problema della mobilità in Europa e hanno comportamenti nazionalistici di totale chiusura del mercato».

Spagna e Francia non ci provano neanche formalmente ad aprire il loro mercato: il monopolista spagnolo Renfe controlla il 95% del mercato, mentre Sncf si attesa sul 92% del trasporto passeggeri e sull'80% del trasporto ferroviario merci. La Germania, invece, «rappresenta l'esempio di un mercato in cui l'apertura selettiva alla concorrenza si contraddistingue per il mantenimento di un forte vantaggio competitivo di Deutsche Bahn, anche collegato all'alto livello di finanziamenti ricevuti dall'operatore». Db possiede una quota dell'80% del mercato, ma la decina di altri soggetti che operano sulla rete - tra cui stranieri come Netinera, Veolia, Keolis e NedRailways - sono entrati anche grazie a gare che quasi mai consentono l'accesso a fette ricche del mercato. I finanziamenti fanno la differenza: nel 2010, ultimo anno confrontabile, il finanziamento del «servizio universale ferroviario» ammontava a 4.427 milioni in Germania, 3.959 milioni in Francia, 1.756 milioni in Italia, 1.004 nel Regno unito che resta il Paese con la massima apertura di mercato. In termini di finanziamenti per singolo cittadino, l'Italia è a 42 euro contro i 92 della Germania, i 105 del Regno Unito, i 169 della Francia.

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