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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 07:41.

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Il dibattito sulla ricerca di indicatori economici integrativi o alternativi al Prodotto interno lordo (Pil) coinvolge da tempo sempre più vari settori culturali. In tale ambito, la scienza dei sistemi complessi può fornire un contributo importante quanto originale, come emerge da uno studio che un gruppo di ricercatori da me diretto dell'Istituto dei Sistemi Complessi del Consiglio nazionale delle ricerche (Isc-Cnr) ha pubblicato sull'ultimo numero di "Nature: Scientific Reports". Un primo risultato è di definire una "fitness" economica non monetaria, che considera quale elemento dominante dell'economia reale la diversificazione dei prodotti e non la specializzazione, come invece prevede la teoria standard della crescita economica. In questa prospettiva l'Italia figura al terzo posto al mondo, confermando in modo "matematico" l'importanza delle piccole e medie imprese.
Elaborando i dati forniti da database riguardanti l'export internazionale, emerge che ogni Paese ha un limite massimo per la qualità o la complessità dei prodotti che è in grado di esportare. Entro questo limite, il Paese produce molti beni, di complessità anche decisamente inferiore. Tale diversificazione smentisce uno dei capisaldi della teoria economica e mostra che la diversificazione è più importante della specializzazione.

Questa situazione richiama i concetti della biologia rispetto all'adattabilità delle specie: si potrebbe cioè ipotizzare che la specializzazione possa costituire un elemento prioritario in un contesto statico, mentre in un contesto fortemente dinamico, come quello dato dalla globalizzazione, l'elemento di maggiore competitività è invece la diversificazione. Per quantificare l'effetto della diversificazione, abbiamo sviluppato un algoritmo che permette di definire una nuova metrica non monetaria basata sul potenziale industriale di un Paese (Fitness), definito come somma del numero di prodotti esportati ponderati in base alla loro qualità o complessità. Per i prodotti la situazione è più sottile perché il limite sulla qualità di un prodotto è definito dai paesi meno competitivi che lo producono. La "Fitness" rappresenta una sorta di capacità intrinseca e, confrontata con il Pil, permette di prevedere l'evoluzione futura in una nuova prospettiva. Un paese con alta fitness e basso Pil per capite è destinato a crescere, poiché il suo potenziale intangibile risulta sottovalutato, mentre uno caratterizzato da condizioni opposte è in una situazione di rischio, tipico il caso del paese ricco in quanto produttore di materie prime, esauribili.

Applicata alle dinamiche economiche osservate tra il 1995 e il 2010, la nuova metrica rivela che l'Italia - all'interno della generale diminuzione del potenziale industriale misurato nei paesi sviluppati - conserva una fitness molto elevata, addirittura la terza al mondo, con un salto in alto di ben venti posizioni rispetto alla graduatoria per Pil per capite, posizionandosi dopo la Germania e la Cina (che sale di ben 73 posizioni). L'economia industriale italiana appare infatti fortemente diversificata e comprende molti prodotti di notevole complessità, ancorché i volumi di esportazione risultino limitati, riflettendo l'organizzazione in piccole e medie imprese che caratterizza il nostro paese.
Ottime prospettive di sviluppo si prospettano anche per Thailandia, Messico, Vietnam e Filippine. Situazione opposta per Irlanda e Islanda e, caso limite, per l'Arabia Saudita che concentrando gran parte del suo export nel greggio, crolla dalla 38esima alla 111esima posizione. Il metodo rivela grandi e finora non apprezzate differenze nei quattro paesi Bric: al contrario di quanto avvenuto in India e Cina, entrambe in crescita di fitness anche se la prima a una ritmo assai meno sostenuto, il potenziale industriale di Brasile e Russia è diminuito nel corso degli anni e l'aumento del Pil per capite in questi Paesi è il risultato più dell'aumento dell'esportazione di materie prime che dell'espressione di una diversificazione, qualificazione e complessità dei prodotti realizzati.

Per il Brasile la nostra analisi avrebbe evidenziato questa eccessiva dipendenza dalle materie prime già dal 2002, mentre gli indicatori standard evidenziano questo fenomeno solo negli ultimi due anni.
Riteniamo che questo tipo di studio possa fornire una nuova prospettiva per l'analisi e la pianificazione industriale di un Paese, introducendo nuovi concetti per la previsione della crescita e la valutazione i rischi. La nostra ricerca è solo un primo passo di una era della scienza economica in cui si utilizzino i moltissimi dati "sperimentali" disponibili per introdurre nuovi concetti e considerare aspetti oggi non sufficientemente apprezzati. Il passaggio dalle analisi qualitative a quelle quantitative rappresenta un elemento essenziale per poter validare scientificamente le varie teorie economiche e fornisce nuovi concetti che hanno un tasso di scientificità sempre maggiore.

È superfluo ricordare in questi giorni quanto sarebbe importante avere una economia basata sempre più su dati scientifici piuttosto che sulle ideologie o la politica. Il progetto Crisis Lab del Miur che ha supportato questa attività si propone esattamente di esplorare queste nuove strade per sviluppare un nuovo approccio scientifico verso le discipline socio-economiche.
Luciano Pietronero è direttore dell'Istituto dei sistemi complessi del Cnr

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