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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 07:37.

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La conclusione è in linea con una messe ricchissima di ricerche condotte in questi anni (da Blanchard a Summers e molti altri) che sottolineano valori elevati dei moltiplicatori fiscali. Negli Usa, i repubblicani sostengono l'austerità; la Casa Bianca, stimando nel 2009 i moltiplicatori a 1,5-1,6, ha optato, con il sostegno di Bernanke, per uno stimolo fiscale. Lo stesso hanno fatto molti paesi emergenti. L'inglese Office for Budget Responsibility ha ipotizzato moltiplicatori fiscali pari a 0,5 sottovalutando l'impatto dell'austerità del Governo Cameron. L'Europa di Maastricht si è schierata a favore di politiche severamente restrittive. L'evidenza che si è accumulata dopo il 2008 conferma la forza dei moltiplicatori. Negli Usa, lo stimolo di Obama si stima abbia salvato 3 milioni di posti di lavoro, a parità di tendenze del rapporto debito/Pil. La svolta del 2010 dell'Europa verso l'austerity non ha pagato.

Ora è intervenuto l'Fmi, confermando in pieno le tesi keynesiane. Esso stima valori dei moltiplicatori, dopo il 2008, fra 0,9 e 1,7. In Europa, a causa dei cambi fissi, del razionamento del credito, degli impatti negativi sull'offerta, questi valori potrebbero essere addirittura più alti. Peccato che ci sia voluto tanto tempo per capirlo: Keynes lo aveva scritto già negli anni Trenta. In realtà in Europa si è scelto per molto tempo di occultare la verità. Già nell'ottobre 2011 un rapporto "strettamente confidenziale" dell'Ue prendeva atto del fallimento "imprevedibile" delle politiche della Troika in Grecia. La Bundesbank, nel bnollettino in ottobre, addirittura, ha affermato le virtù della crisi: gli spread «non devono essere ridotti» altrimenti si rischia di «mitigare e ritardare il processo di aggiustamento» nella periferia d'Europa. La stessa signora Merkel sembra però avere le idee chiare quando, di fronte al rischio di una recessione tedesca, invoca politiche keynesiane in casa propria. Ma non nelle altrui.

Il Fmi nota che molti Governi - Italia, Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna, Regno Unito, ecc - hanno sbagliato radicalmente le previsioni. Per il Fondo le riforme strutturali unite all'austerità rischiano di aggravare la situazione. Forse è troppo dire che le riforme strutturali sono depressive ma sicuramente sono inefficaci nel rilanciare la domanda. Diventano un problema quando i Governi si affidano solo ad esse trascurando terapie efficaci. I guadagni di produttività ottenuti grazie alle cosiddette riforme rischiano solo di produrre aumenti della disoccupazione. L'Europa ha sbagliato in buona fede? Se è così, ora un arbitro imparziale come l'Fmi ha decretato la fine della partita: l'Europa non nasconda ancora una volta la testa sotto la sabbia. È in gioco la stabilità sociale: rifiutare il verdetto dell'arbitro sarebbe anti-patriottico. L'Italia deve prendere atto che la strategia della compressione accelerata del deficit non sta funzionando.

Il Governo illustri questi dati all'Europa e ponga con energia il tema della strategia europea. Che fine hanno fatto gli accordi del G-8 e le decisioni del 28 giugno scorso del Consiglio Ue? Bisogna cambiare strada. Recenti sondaggi di opinione contengono indicazioni utili e segnalano che gli italiani vogliano un Governo competente e onesto, ma che si muova nell'ambito di un altro paradigma di politica economica.
Finora, nel dibattito italiano, sono state avanzate proposte estreme: attendere senza agire o uscire dall'euro. Serve una terza via: una riforma profonda del funzionamento dell'euro che consenta l'applicazione di politiche funzionali a uscire dalla crisi e di allentare il meccanismo infernale che ci soffoca. La divisione manichea fra fautori di una "Lista Monti" e il "populismo" soffoca sul nascere la terza via suggerita dalla migliore ricerca economica: una proposta neo-keynesiana per l'Eurozona. Negli anni Trenta Keynes salvò il capitalismo.

Se oggi prevalgono i due estremismi, l'aumento delle tensioni sociali e politiche raggiungerà soglie intollerabili, dalle quali valori fondamentali della nostra civiltà - Europa, integrità degli Stati nazionali, Costituzione, giustizia sociale - non potranno uscire vincenti. Fra pochi mesi il corpo elettorale italiano eleggerà i suoi rappresentanti. Essi dovranno dire all'Europa che il paradigma attuale non va bene. Né le politiche, né le regole: sono inefficienti e crudeli, contrarie all'interesse dei popoli europei. Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere. E' questa la vera posizione "europeista".

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