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Questo articolo è stato pubblicato il 18 novembre 2012 alle ore 15:53.

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Le attuali generalizzate contestazioni giovanili stanno invadendo la maggior parte delle democrazie occidentali e vanno dagli "Occupy Wall Street" agli "Indignados", ai cortei e agli scontri in Grecia, Spagna e con inaspettata virulenza in questi giorni in Italia.

Ancora una volta queste rivolte si presentano, rispetto alle altre precedenti, con caratteristiche per molti versi diverse, ma con una sicuramente identica. Come nella mobilitazione del 1968, che fu giustamente chiamato l'"anno degli studenti", la molla fondamentale è dovuta al grave disagio creato da particolari dissoluzioni e tradimenti dei principi democratici.
Più di ogni altro fu Alexis de Tocqueville a individuare chiaramente come la stessa libertà, su cui si basa la democrazia, quando è considerata come pura e assoluta indipendenza individuale oggi all'origine del liberismo, può addirittura portare al contrario della democrazia stessa, cioè ad una nuova forma di servitù politica. Laddove poi la varietà sparisce nelle società umane, l'uniformità di pensiero comune non solo provoca mancanza totale di solidarietà, ma frammentazione infinita dello spazio sociale e di ogni forma di comunanza, con un aumento intollerabile delle disuguaglianze e un conflitto fra lo Stato e la maggioranza dei cittadini discriminati. Queste società uniformate nel pensiero unico vedono il declino di una vera libertà soffocata sotto un dispotismo che Tocqueville considerava minaccioso e ad un tempo "dolce". Ancorché oggi non lo sia affatto.

È quello stesso dispotismo che allontana i cittadini dalla partecipazione attiva alla politica, anche creando pericolose forme di populismo e amorfe, indiscriminate, ma autoreferenziali congregazioni proclamantesi "società civile", tutte lontane dalle tradizionali istituzioni della democrazia, come potere del popolo e da quelle società intermedie che Tocqueville tanto aveva ammirato nel suo viaggio americano.
Naturalmente, all'origine di questa nuova "dittatura democratica" non vi è tanto e solo l'abuso del principio di maggioranza, come aveva temuto Tocqueville, quanto piuttosto il fatto che le forme degli attuali Stati democratici sono soggette a elaborazioni di programmi politici ben lontani da quelli voluti dai cittadini, poiché eterodiretti da organismi neppur sempre democratici, quali quelli che rappresentano le attuali forme del capitalismo finanziario globale; ciò che certamente lo stesso Tocqueville non poteva prevedere.
È per questo che le manifestazioni che ho sopra indicato sono soprattutto rivolte nei confronti di chi viene ritenuto responsabile dell'attuazione di quelle politiche, cioè i governi e le banche. Non è più possibile infatti negare l'evidenza che le politiche di austerità, che hanno finora aumentato disoccupazione e povertà e prospettive di lavoro e di vita dignitosa per le giovani generazioni, siano servite a salvare ed arricchire le varie istituzioni finanziarie "too big to fail" e a evitare il fallimento di alcuni Stati troppo indebitati, ormai vittime di una spietata speculazione finanziaria, senza risolvere, anzi peggiorando, la crisi depressiva dell'economia globale.

Che dunque la politica di austerità debba essere completamente rivista è risultato chiaro anche dalla puntuale prolusione di Mario Draghi giovedì scorso all'Università Bocconi. E che quindi il sistema monetario e finanziario europeo ed internazionale debba essere riformato su basi completamente nuove è un postulato che pare non ammettere più deroghe, a salvaguardia delle stesse democrazie.
Lo straordinario punto di partenza potrebbe essere costituito dal pensiero centrale di uno dei grandissimi economisti del passato, David Ricardo, il quale già all'inizio dell'800 considerava la moneta come un "bene pubblico". Una prospettiva dotta e aggiornata per una nuova economia politica globale è indicata ora, proprio considerando il denaro e la finanza come "beni pubblici sovranazionali", da un affascinante recentissimo libro di Riccardo Fiorentini e Guido Montani "The new global political economy" (UK, 2012). In una precisa ricostruzione storica, sia del sistema monetario internazionale, sia di quello europeo, vengono ivi delineate, anche in relazione agli inquietanti problemi che pone la globalizzazione finanziaria, possibili soluzioni alternative a quelle inconcludenti in atto. Che il denaro e la finanza debbano costituire dei beni pubblici, che non possono essere saccheggiati né monopolizzati dal Leviatano finanziario, è certamente una nuova prospettiva dalla quale occorrerebbe, a mio avviso, decisamente partire, anche in attuazione del dettato costituzionale italiano, nel quale denaro e finanza appaiono già - attraverso la tutela del risparmio e la disciplina del credito sanciti dall'articolo 47 - beni comuni funzionali all'esercizio dei diritti fondamentali e al libero sviluppo della persona. Questi beni pubblici sovranazionali comportano certamente la necessità di una solida riflessione per una riforma della finanza internazionale, a incominciare da quella più attuale che consiste nel progetto di unità monetaria, economica e politica europea.
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