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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2012 alle ore 08:45.
L'ultima modifica è del 24 novembre 2012 alle ore 09:09.
In Italia di solito vince il più furbo. In questo Paese chi ha posizioni di vantaggio difficilmente lascia spazio agli altri, tanto meno ad un suo diretto competitor. A noi italiani, come suggerisce la nota pubblicità, piace “vincere facile”. Va quindi dato atto a Pierluigi Bersani di aver fatto una scelta non scontata, generosa e coraggiosa.
Pierluigi Bersani ha fatto una scelta non scontata, generosa e coraggiosa, quando ha deciso di non avvalersi della regola presente nello statuto che prevede che nelle primarie di coalizione il Pd si presenti unito a sostegno di un unico candidato e che tale candidato sia automaticamente il segretario. Tanto più che il sindaco di Firenze, proprio nella conquista della carica che attualmente ricopre, ha già dimostrato di saper far buon uso delle primarie per imporsi superando vincoli interni e sovvertendo i pronostici.
Come ricorda Miguel Gotor, c'era una strada in discesa e ben spianata che Bersani avrebbe potuto percorrere se solo avesse voluto: «Avrebbe potuto farsi incoronare per acclamazione in un palazzetto dello sport, portando 10mila persone, arrotolarsi le maniche di una camicia bianca, far intervenire a suo sostegno qualche scrittore, regista o altro, far vedere qualche video». Ha scelto invece, contro il parere di molti al suo fianco, la strada in salita accettando una sfida che comporta qualche rischio personale in cambio di un aumento di credibilità del suo partito.
Renzi ha chiesto di poter competere e ha fatto bene. E' l'atteggiamento giusto da parte delle nuove generazioni: lo spazio va conquistato senza troppi timori reverenziali. Bersani gli ha dato la possibilità di poter entrare in gara e ha fatto bene. E' l'atteggiamento giusto da parte delle generazioni più mature: mettersi in discussione e accettare il confronto anche con i giovani più scomodi e irruenti. Questo è quanto dovrebbe accadere ad ogni livello della società e dell'economia italiana. Ci renderebbe un Paese più dinamico e meritocratico.
Se quindi al segretario del Pd va riconosciuto di aver fatto un passo di lato per lasciar spazio ad un nuovo candidato, è anche vero che alla fine non conta come si è arrivati ai blocchi di partenza ma solo quanto succede dopo il fischio iniziale. Ora la gara si è in gran parte compiuta e presto sapremo chi avrà tagliato per primo il traguardo. Il momento clou è stato il dibattito televisivo, che ha mostrato come sia possibile rinnovare anche la comunicazione politica nel nostro paese. Un successo per Sky ma anche per il centrosinistra, non solo per la quantità d'ascolto ma anche per la qualità. Non a caso, in un commento a caldo Bersani ha affermato che a vincere il confronto sono state le primarie stesse e la scelta di farle.
Se l'operazione sarà nel complesso servita a dare più credibilità alla politica e ad avvicinare di più i giovani, il giudizio finale non potrà che essere positivo. Del resto partiamo da una situazione drammatica. Stiamo attraversando non solo una fase crisi economica e occupazionale con impatto particolarmente grave sul futuro dei giovani, ma anche di fiducia. Il consenso nei confronti dei partiti è sceso su livelli infimi. Secondo una recente indagine dell'Istituto Toniolo realizzata in collaborazione con l'Ipsos, ben il 94% dei giovani assegna ad essi un giudizio negativo. Una sfiducia generalizzata che colpisce tutte le istituzioni e salva in parte solo la Presidenza della Repubblica e gli enti territoriali più virtuosi. Nuove generazioni quindi molto critiche ma non rassegnate. Più che antipolitica c'è voglia di vera politica. La domanda di cambiamento e di discontinuità è comunque forte. Renzi tenta di cavalcarla. Bersani ha cercato di mandare segnali importanti di attenzione e di apertura alle istanze di ricambio, coniugandole con la sua capacità di governo.
Il dibattito si è però un po' troppo avvitato sulla brutale semplificazione della contrapposizione tra favorevoli e contrari alla rottamazione. Quello che rischiamo, se non interpretiamo correttamente i grandi cambiamenti demografici e sociali della fase storica che viviamo, è di vedere progressivamente impoverite e marginalizzate sia le vecchie che le nuove generazioni e ancor più metterle in contrapposizione. Serve allora una politica in grado di andare oltre agli slogan, capace soprattutto di tessere pazientemente i fili di una nuova alleanza - tra generazioni giovani e mature, tra cittadini e istituzioni, tra uomini e donne, tra sud e nord, tra autoctoni ed immigrati – che possa aggregare il meglio delle energie e delle esperienze che il paese sa offrire a favore di un progetto di crescita solido e credibile.
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