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Questo articolo è stato pubblicato il 25 novembre 2012 alle ore 14:30.
L'ultima modifica è del 25 novembre 2012 alle ore 14:45.

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Mi perdoneranno i lettori se questa settimana lascio i problemi europei (che al momento sono peraltro sospesi fra una riunione interlocutoria e l'altra) e mi occupo per una volta di cose di casa nostra.
Ma trovo davvero singolare che nella già confusa e difficile disputa sulla legge elettorale rimanga senza replica, e resti quindi pericolosamente sul tavolo, l'argomento che non la dovremmo cambiare negli ultimi mesi della legislatura, perché cambiandola contravveniamo a un vincolo europeo. Noi, che ci sentiamo sempre tenuti a fare ciò che l'Europa ci chiede, qui faremmo esattamente il contrario.

E un presidente della Repubblica, che ci richiama sempre ai nostri doveri di europei, da settimane e mesi ci starebbe esortando a violarli. Le cose non stanno così e a coloro, in primo luogo i radicali, che fanno da sempre richiami alla legalità e allo stato di diritto molto spesso meritevoli di ogni considerazione, vorrei dire in questo caso che vanno fuori bersaglio. A chi addirittura è arrivato allo sciopero della fame (mentre altri - si noti - fa lo stesso sciopero affinché invece la riforma elettorale ci sia) suggerirei di domandarsi seriamente se davvero ne vale la pena.
Ma qual è il vincolo europeo del quale si accampa l'esistenza? Cominciamo col dire che non è nulla che si possa ricondurre all'Unione Europea, alla vincolatività delle sue direttive e dei suoi regolamenti o delle sentenze della sua Corte di Giustizia.

Si tratta infatti non dell'Unione Europea, ma del Consiglio d'Europa e di un "Codice di buona condotta in materia elettorale", elaborato nel 2002 dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (nota come Commissione di Venezia e per anni presieduta dal nostro Antonio La Pergola) e approvato dall'Assemblea generale dello stesso Consiglio nel 2003. È dunque un documento di raccomandazioni agli Stati membri, che certo essi sono impegnati a rispettare.
Vediamo però il contenuto di queste raccomandazioni. Spaziano in tutta la materia elettorale, partendo dai principi del patrimonio elettorale europeo (il suffragio libero, eguale e segreto) ed entrando poi nelle procedure e nei sistemi di trasformazione dei voti in seggi.

A un certo punto affermano anche il principio della «stabilità del diritto elettorale» e dicono effettivamente che «gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, non devono poter essere modificati nell'anno che precede le elezioni» (par. II, 2, b).
È vero, dunque, questa raccomandazione c'è. Ma domandiamoci in primo luogo quale ne è la ragione. La ragione - lo dice esplicitamente lo stesso codice - è «evitare che il diritto elettorale sia uno strumento che coloro che esercitano il potere manovrano a proprio favore». Per questo esso punta i riflettori su contesti nei quali maggioranze al potere ma prive ormai del consenso popolare cercano di restare alterando all'ultimo minuto i congegni elettorali.

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