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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2012 alle ore 08:09.

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Nel lirismo di Nicola Vendola detto Nichi, governatore dal 2005 della Puglia, s'inciampa già dal prologo. La politica non c'entra. E neppure le primarie del Pd. L'argomento, almeno in apparenza, è squisitamente tecnico: chi guida la burocrazia regionale?

Qualche anno dopo il suo arrivo in via Capruzzi, vecchia sede del consiglio regionale, un alveare di ufficetti ospitati in un condominio degli anni 70, Vendola inaugura la rivoluzione con l'operazione Mar Rosso.
Raffaele Fitto, il suo predecessore, quasi certo della rielezione, si era portato avanti azzerando la classe dirigente con un maxi piano di incentivi all'esodo - tre/cinque anni di stipendio - per procedere, a riconferma ottenuta, alla nomina di un nuovo plotone di dirigenti.
Vince Nichi. Che si ritrova davanti 4mila dipendenti guidati da 90 dirigenti. Fitto era pronto all'assunzione di 60 giovanotti laureati con 110 e lode, selezionati e formati con stage in Italia e all'estero «per la modica cifra - denuncia Giacomo De Pinto della Uil - di 2 milioni». A urne capovolte, il governatore del Pdl va sotto. E con lui i 60 brillanti neolaureati formati a spese dei pugliesi.

Vendola non perde tempo. E fa scrivere immediatamente un bando per il reclutamento di 70 dirigenti, 35 esterni e 35 interni. Allo stesso tempo mette in mobilità 33 dirigenti dei 90 ereditati da Fitto, che rimpiazzerà con quelli entrati in graduatoria nel nuovo concorso. In attesa del quale, il governatore promuove al ruolo di dirigenti una settantina di funzionari interni che sceglie a sua discrezione. Eccola l'operazione Mar Rosso. E si capisce il senso della metafora. La traversata della prima parte del mandato sarà affrontata con i funzionari dell'organigramma.
L'innovazione delle innovazioni, però, è racchiusa nella delibera 002 del 2008, che detta le disposizioni sul "nuovo modello istituzionale-organizzativo denominato Gaia: la Regione intelligente". La nuova governance prevede la creazione di otto grandi aree. A dirigerle viene chiamata una nuova e singolare figura - il dirigente d'area - un po' politico e un po' tecnocrate, con il compito di raccordare il vertice partitico alla struttura burocratica.

I vecchi direttori degli assessorati, o alcuni di loro, coltivavano il culto della terzietà. Le Bassanini prima e la riforma del titolo V della Costituzione del 2001, con l'emersione del governatore-demiurgo, fanno saltare tutti i contrappesi sul quale si regge il fragile equilibrio dei poteri. Vendola coglie al balzo l'occasione. E con l'aiuto del suo primo assessore alla Trasparenza e alla gestione delle risorse umane, l'ex sindaco di Molfetta Guglielmo Minervini (attuale assessore regionale alle Infrastrutture), punta sui direttori d'area, una figura reclutata all'esterno della burocrazia regionale. Gli otto direttori d'area possono interloquire con più assessorati, non fanno parte della pianta organica, non hanno potere di firma e il loro mandato temporale coincide con quello del governatore.

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