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Questo articolo è stato pubblicato il 13 dicembre 2012 alle ore 06:58.

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Il grosso del potenziamento delle nostre attività estrattive «può essere realizzato aumentando le potenzialità e in qualche caso l'estensione degli attuali impianti» affermano gli artefici dello studio Assomineraria-Rie sulla scorta di una memoria appena presentata al Parlamento nel dibattito sulla Strategia Energetica Nazionale.

Certo, per dissodare il terreno del consenso serve un nuovo clima di trasparenza nel dialogo non solo con lo Stato centrale ma soprattutto con le amministrazioni locali «con una distribuzione delle royalties a maggior vantaggio dei territori dei cittadini direttamente interessati alle attività». E serve una drastica revisione delle procedure di validazione e autorizzazione dei progetti «con la definizione di un titolo unico che possa attrarre maggiormente gli investitori privati».
Il primo passo? «Sfatare i falsi miti che inducono il nostro paese a lavorare in gran parte per pagarsi l'energia importata», incalza Alberto Clò, presidente del Rie e già ministro dell'Industria del governo Dini del 1995-'96. L'Italia – rimarca Clò – è un Paese ricco di risorse. Esclusi grandi produttori del Mare del Nord, come la Norvegia e l'Inghilterra, il nostro Pè al vertice per riserve di petrolio.

E nonostante la progressiva chiusura dei rubinetti rimane secondo produttore dopo la Danimarca. Mentre nel gas, che al contrario del petrolio è caratterizzato da una richiesta in prospettiva crescente, è in quarta posizione nelle riserve stimate e in sesta posizione per produzione, «non tanto per la povertà del sottosuolo ma per l'impossibilità di valorizzarlo».
Ci ricorda il Rie che l'anno scorso la produzione nazionale di gas è stata di 6,6 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Tep), quella di petrolio di 5,3 milioni, contribuendo rispettivamente al 10,7 e al 7,4% della domanda interna. Tre quarti del gas viene dagli impianti marini e il restante essenzialmente da Basilicata e Sicilia. Mentre il grosso del petrolio viene dai giacimenti interni della Val d'Agri in Basilicata. Con qualche contributo in Sicilia, Lombardia e Piemonte.

Le riserve? Innanzitutto una premessa: anche considerando le esplorazioni già effettuate negli impianti già operativi avremmo potuto - afferma il Rie - estrarre il doppio. Ed ecco le stime: a fronte di una produzione negli ultimi trent'anni per 760 miliardi di metri cubi di gas e per 1,2 miliardi di barili di petrolio, le riserve accertate e recuperabili con le attuali strutture sono per il gas oltre 260 miliardi di metri cubi e per il petrolio almeno 2,4 miliardi di barili (il doppio di ciò che abbiamo ricavato sinora).
I rischi per il territorio e l'ambiente? «Tra il 1970 e il 1990 abbiamo perforato mediamente 100 pozzi l'anno senza alcun impatto di rilevo. E non abbiamo avuto nessun caso di blow-out nei pozzi offshore contro una media europea e mondiale attorno a 1,5 per mille pozzi perforati». Il vero rischio? «È semmai il transito delle petroliere nel Mediterraneo».

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