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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 07:57.
L'ultima modifica è del 22 dicembre 2012 alle ore 09:59.

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Ci sono promesse di ripresa del manifatturiero, tra cui Apple e altri nomi noti, come si sa, ma la ripresa non si vede, per ora, dice Tonelson. Non si vedono i numeri. Il settore industriale non riesce a recuperare sui dati pre crisi, altro che balzo in avanti. Tra il 2009 e il 2011 l'industria americana è cresciuta più lentamente che in Germania, Svezia, Corea, Taiwan e Singapore e alla stessa velocità che in Giappone, notoriamente oggi appesantito e lento. «Un settore in ripresa dovrebbe guadagnare spazio per prima cosa nel suo mercato interno - dice Tonelson – ma sta succedendo il contrario». Nel 2011 la produzione estera ha fornito il 37,57% di tutti gli acquisti fatti in settori ad alto valore aggiunto, dai semiconduttori ai farmaceutici alle macchine utensili a dozzine di altri. Nel 2010 la quota straniera era stata del 37,07 e nel 1997, ricorda Tonelson, era del 24,49.

L'unica vera differenza e svolta, a parte alcuni annunci di piani di investimento che devono però ancora dare frutto, è che il problema della capacità industriale è stato rumorosamente posto. A Washington tuttavia comanda ancora la finanza. L'occasione per dimostrare che l'industria riceve vera attenzione, e non solo qualche aiuto e molta retorica, il presidente Obama l'avrà presto, quando si tratterrà di sostituire il ministro del Tesoro Tim Geithner, efficace guardiano, avvocato, difensore e alibi di molte tragedie firmate Wall Street. Se il suo successore sarà un uomo dell'industria e non della finanza, come quasi sempre dall'industria è venuto nei 50 anni che corrono tra la débacle del '29 e Ronald Reagan con pochissime e parziali eccezioni, vuol dire che l'America davvero potrà darci una nuova lezione. Sarà come una volta una lezione industriale. E solo così il rischio di nuovi fiscal cliff potrà allontanarsi davvero.

mmargiocco@gmail.com
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